Contributo di Avalanche Collective al primo panel, “The Virus And The Uprisings“, del simposio Undercommons & Destituent Power realizzato dal 13 al 16 novembre dall’Università dell’Indiana – Critical Ethnic Studies. Qui il video al minuto 32:20.
CORONAVIRUS AL DI LÀ DEL BENE E DEL MALE
I virus hanno sfidato il nostro destino evolutivo da quando strisciavamo sulla terra come organismi unicellulari. Il virus inserisce i suoi geni nella cellula che infetta, confondendo la genealogia di ogni organismo che incontra. Opera una rottura nel corpo per propagare la sua stessa diffusione e allo stesso tempo lo codifica con i mezzi per sviluppare l’immunità. È con questa continua danza che i virus hanno guidato l’evoluzione di ogni specie sulla Terra. La pandemia da COVID-19 è una sfida unica alla forma e al funzionamento della nostra esistenza proseguita su questo pianeta. Il COVID-19 ha assediato il grande corpo dell’impero globale con la stessa tenacia con cui attacca i nostri polmoni, il cuore e il sistema immunitario. Le filiere – il sistema circolatorio del mercato e del capitalismo globale – continuano a vacillare. L’isolamento, la paranoia, l’attesa apparentemente infinita che caratterizza la quarantena riflettono una fatica metabolica profonda su scala globale.
Di fronte a questa minaccia, possiamo arrivare a capire il virus al di là del bene e del male, cioè a dire in un modo che non plauda al virus (come farebbe un approccio eugenetico o misantropico) né rimanga paralizzato dalla paura, accettando acriticamente le misure statali di controllo ed austerity con la speranza di un ritorno alla normalità. Il primo cerca di imporre ciò che merita di vivere mentre il secondo riflette un ripudio della morte imperfetto. Presi insieme questi due poli producono la logica della governamentalità biopolitica – far vivere e lasciare morire. Noi siamo lasciati vivere aderendo alle politiche sanitarie per le quali si giustificano misure come i lockdown e i coprifuoco rafforzati militarmente, le minacce di vaccinazioni obbligatorie, le multe imposte dallo stato agli assembramenti sociali, le misure lesive della privacy come il tracciamento dei contatti e il rilevamento della posizione; con la scusa che si crede che amministrino il benessere di una parte della popolazione. A questa espansione rapida del controllo statale nella biosfera si oppongono solo dei fanatici che si ostinano a portare avanti forme di negazionismo del COVID-19, teorie del complotto, retorica no-mask e finanche misure di austerity che sono, nella loro essenza, eugenetiche, visto che scelgono semplicemente di lasciar morire la gente. Cerchiamo un modo di esistere che fugga la biopolitica, che affronti la fatticità del virus di manifestare nuove forme di vita persino nel mezzo della sesta estinzione di massa.
IN QUARANTENA SU UNA NAVE CHE AFFONDA
Le morti causate dal virus sono considerate perdite accettabili fino a che la crisi non minaccia le relazioni del capitalismo globale. Risposte statali coordinate internazionalmente che non si erano viste per virus come la dengue o la febbre gialla, sebbene esse continuino a causare morti di massa in America Latina, nel sudest asiatico e in Africa. Al contrario la pandemia da COVID-19 si diffonde in Cina, USA, ed Europa occidentale, i luoghi che rappresentano il nucleo dell’impero capitalista globale. Se accettiamo il fatto che il COVID-19 sia in effetti stato causato da un evento di spillover dovuto alla frammentazione degli habitat che risulta dalla crescita senza fine del capitale, allora possiamo dire che le risposte alla pandemia gestite dallo stato preservano, invece di alterare, le condizioni che ci hanno portato a questa situazione. Da questa prospettiva, nuovi metodi di controllo biopolitico non rispondono alle cause del virus; mantengono le specie ancorate ad uno stato di deperimento. Il virus suppura nelle fabbriche di lavorazione della carne, negli allevamenti in batteria, nelle prigioni – luoghi che già di loro si nutrivano di una atroce sacrificabilità della vita. La perdita di vita causata dal COVID-19 non è pertanto un bug nel sistema, ma una caratteristica progettuale. Se il COVID-19 rivela il nucleo infetto di un impero che è capace solamente di replicare malattie, allora una vasta riorganizzazione della vita su scala globale diventa un imperativo assoluto – la rivoluzione è oggi una questione di evoluzione.
Come la mettiamo col fatto che questa pandemia sia arrivata nel mezzo di un’ondata di insurrezioni senza precedenti in tutto il mondo? Si possono leggere il virus e le insurrezioni come due espressioni di un unico impeto di fuga dall’impero globale e dalla governamentalità economica? Facciamo questo paragone non per amore dell’analogia ma perché ci offre l’accesso a “un sapere partigiano nascosto da scoprire attorno alla nuova pandemia del coronavirus che può essere sfruttato e trasformato in arma contro il potere stabilito”, come scrive Idris Robinson. Non ci siamo fatti sfuggire il fatto che le misure di controllo biopolitico hanno fallito a rispondere in modo adeguato alla nostra situazione collettiva, che continua ad oscillare tra la prossima ondata di pandemia e la prossima ondata di ribellione. In ogni caso, vediamo ciò come un fenomeno unico che opera seguendo una sua logica e creando una sua temporalità. Le trame della viralità ci hanno fornito figure di pensiero e movimento per creare nuovi orizzonti di fronte ad una situazione insostenibile su un pianeta sempre più inabitabile.
LA VITA OLTRE AL CALCOLO DELLA SOPRAVVIVENZA
“Forse Dio è un virus che alberga in noi.”
Heiner Müller
In un brillante saggio sulla politica della vita, David Cayley scrive: “Le misure imposte dalla ‘più grande crisi sanitaria della nostra storia’ hanno comportato una notevole riduzione delle libertà civili… per proteggere la vita e, allo stesso modo, per evitare la morte”. Il terreno della governance prende la vita stessa come oggetto, cercando di costringerla ad adattarsi – e non a trasformarsi – di fronte alla pressione selettiva esercitata sulla specie. Se questo è il caso, una politica della vita può aiutarci a combattere il governo della vita? Come inserire l’asimmetria in questo confronto? Solo ciò che viene dall’aldilà della vita o tra i suoi interstizi può farlo. Invece di aderire alle categorie immanenti della vita, della natura e della storia per guidare i nostri immaginari politici, il virus ci inocula una conoscenza aliena che ci restituisce la questione teologica di ciò che è al di là di questi dati.
Il virus esiste nello spazio liminale tra la vita e la non vita. Una piccola quantità di materiale genetico contenuto all’interno di un involucro molecolare perfettamente geometrico è in qualche modo in grado di auto-propagarsi, manipolare il suo ambiente, adattarsi ed evolversi – tutte caratteristiche che potremmo trovare evocative della vita. Eppure, un virus non respira. Che lo si chiami prana, qi o biochimica di base, la respirazione è semplicemente un processo metabolico di trasduzione di energia. La più piccola entità capace di respirare è la cellula – forse per questo la designiamo come “unità fondamentale della vita”. Le ultime frasi di Eric Garner e George Floyd, “Non riesco a respirare”, riflettono la singolare esperienza della blackness in America. Eppure, queste parole riecheggiano anche dentro di noi come un dolore fantasma, mentre una pandemia globale soffoca la vita di milioni di persone e gli incendi incontrollabili decimano le foreste – i polmoni della Terra. In questa asfissia planetaria, guardiamo a ciò che non respira ma rimane comunque animato – il virus.
MECCANICHE FUGGITIVE
A. La nuova Episteme Informatica.
Dai modelli epidemiologici alle reti di comunicazione, i sistemi di governance cercano di mappare le fonti di informazione, costruendo una sorta di genealogia, al fine di limitare e dirigere il flusso di informazioni. Al contrario, una modalità virale di propagazione dell’informazione è una modalità fondamentalmente slegata e anti-genealogica.
La fonte di un’epidemia è spesso sconosciuta e transitoria come un singolo colpo di tosse. Senza una logica centrale che ne determini la diffusione, il virus si moltiplica semplicemente dove si trova attraverso qualsiasi mezzo disponibile, come in un incendio. Al virus non importa se il suo ospite vive in una prigione o alla Casa Bianca, tagliando le classi e gli ordini prodotti dall’economia e mantenuti dallo Stato. I luoghi di incontro esistenti – il posto di lavoro, la chiesa, la discoteca, il nightclub, i tribunali, ecc. sono tutti sospesi in quanto le nostre relazioni vengono definite in primo luogo dal nostro rapporto con il virus. Come risposta immediata alla pandemia, reti di mutuo soccorso e di difesa dell’abitare sono sorte in tutti gli Stati Uniti, mentre la gente intuiva l’incapacità dello Stato di contenere la crisi. Questo vasto riordinamento delle risorse e delle reti di comunicazione produce un diverso piano di connettività – un ricco mezzo di contagio politico.
In termini biologici, la propagazione dell’informazione virale procede attraverso il trasferimento orizzontale dei geni. Un virus trasporterà i geni di uno dei suoi ospiti in un altro, permettendo ai geni di essere condivisi lateralmente tra specie, classi, ordini e persino regni. Quindi, se le specie vengono individuate sulla base della loro genetica, se il DNA è un codice a barre per il soggetto biologico, allora il virus è la macchina de-soggettivizzante della natura. Sincronizzatori degli ecosistemi, i viru promuovono la coevoluzione aggrovigliando la traiettoria genetica di tutte le forme di vita che incontrano. Il virus è estraneo all’ordine arboreo dato alla vita attraverso la categorizzazione genealogica. Il virus agisce invece come elemento connettivo che dipana questo albero della vita, incontrando ogni corpo come se esistesse sul proprio piano al di là del genere o del regno.
Oggi vediamo che proprio questa modalità della viralità comincia a disfare le genealogie politiche esistenti. Se i processi rivoluzionari del XX secolo erano comandati da specifici gruppi costituiti, siano essi il partito, i sindacati o le classi, nelle rivolte di oggi queste forze sono sostituite da memi, infografiche e storie instagram. Flussi di informazioni rompono i loro vincoli cibernetici e aiutano i gruppi senza leader a coordinare le azioni con completi estranei. Le rivolte diventano l’unico elemento connettivo di un “socius” sempre più frammentato, mettendo in discussione alleanze e identità precodificate senza mai inglobarsi in un corpo costituente o in un soggetto rivoluzionario coerente. La viralità designa una modalità di contagio che destabilizza il modo in cui i gruppi costituiti si interfacciano tra loro, confondendo la loro posizione all’interno dell’ordine stabilito che prepara il terreno su cui possono emergere le potenze destituenti.
B. Riconfigurazioni silenti e memoria: la fase lisogenica.
Il virus contiene un interruttore biologico tra due modalità di replicazione virale, quella lisogena e quella litica, che corrispondono a due distinte temporalità e funzioni. Quella lisogena consiste in una lunga, lenta e invisibile ricostituzione, mentre la fase litica è caratterizzata da velocità e sabotaggio. Nella modalità lisogena, i geni virali sono integrati nel genoma dell’ospite e si propagano attraverso la regolare replicazione delle cellule ospitanti. Quando questo interruttore viene capovolto da lisogenico a litico, la cellula ospite viene trasformata in una fabbrica biologica per la produzione esponenziale di più virus. È solo a questo punto che l’ospite diventa sintomatico – il virus si rende visibile solo una volta che l’infezione latente è progredita oltre un punto critico.
Così come un virus inserisce i suoi geni per trasformare il genoma dell’ospite, alterando il corpo anche mentre continua le sue funzioni regolari, così anche un processo di ricostituzione nascosta (o di destituzione) precede la rottura sociale. Se il COVID-19 ha una fase lisogena di 2-14 giorni, la Ribellione di George Floyd ha avuto una fase lisogena della portata di anni. La fase lisogena potrebbe essere vista come un periodo di “pace sociale”, essendo asintomatica e senza manifestazioni visibili di sconvolgimento. Questi periodi sono l’occasione per un processo di incubazione, in cui i partigiani del reale hanno il tempo di infettare il corpo sociale con istruzioni e strutture codificate, in modo che quando la fase litica si attiva (sempre in modo imprevedibile), abbiamo formule a cui far riferimento come se la fisica che tiene insieme il nostro mondo si rompesse. Nel 2019, mentre le insurrezioni si diffondevano in ogni angolo del globo, tutti noi sapevamo che prima o poi quest’onda si sarebbe abbattuta sulle coste degli Stati Uniti. Abbiamo preso nota delle rivolte e abbiamo cercato gli strumenti e le tattiche usate per coordinare i disordini. Queste conoscenze sono state attivate quando laser, ombrelli e tecniche per il trattamento dei gas lacrimogeni sono state importate e si sono ripetute notte dopo notte in molte città degli Stati Uniti. Gruppi Telegram formatisi nelle fasi iniziali della pandemia per coordinare gli scioperi degli affitti, i rent strikes, sono stati trasformati nei giorni successivi al 26 maggio per aiutare le folle di ribelli a superare la polizia con informazioni in tempo reale provenienti dagli scanner della polizia. Trasformare un periodo di pace sociale in una fase lisogena significa cercare vie per svelare le funzioni già esistenti nelle forme e nelle soggettività costituite e trasformarle in vettori di fuga.
È da notare che i virus non producono necessariamente una rottura per influenzare il funzionamento dell’ospite. Infatti, l’8% del nostro DNA è composto da resti di virus antichi. Queste sequenze genetiche virali sono state inizialmente pensate per costituire “DNA spazzatura”, dal momento in cui la loro espressione era silenziosa o rumorosa rispetto ai geni che delineavano una funzione chiara all’interno della cellula. Ora sappiamo che questi elementi virali nel nostro DNA regolano i nostri geni mutanti e sono fondamentali per funzioni di base quali la gravidanza e l’immunità. Così, nel momento in cui la latenza virale dura abbastanza a lungo, diventa e si fa memoria incarnata. Un professore di filosofia l’anno scorso ha lamentato il fatto che nessuno studente del suo primo anno di università si è ricordato del movimento Occupy. Senza la conoscenza di questo avvenimento, sosteneva, non si poteva costruire un orizzonte veramente emancipativo. Un anno dopo, troviamo adolescenti e ragazzi appena usciti dal liceo partecipare ad alcune tra le azioni più coraggiose e innovative per le strade. Non c’è bisogno di ricordare Occupy per sapere come comportarsi al momento giusto. Un tale filo conduttore di memoria incarnata può sembrare silenzioso, ma si esprimerà comunque nel proprio lasso di tempo. Guardiamo alle genealogie politiche per la nostra storia, quando in realtà la storia è fatta dagli stessi elementi che intaccano le genealogie esistenti.
C. Sabotaggio e velocità: La fase litica.
Nella transizione rapida tra lisogenica e litica i geni virali iniziano a riprogrammare il meccanismo di funzionamento della cellula affinché produca esponenzialmente nuovi virus che erompono dalla cellula lacerata. Quando il corpo sociale si rompe le rotture, le tattiche, le forme e le idee si autoriproducono. Vediamo il corpo della civiltà diventare il mezzo per la mimesi, proprio come la cellula diventa un sito di propagazione pura. L’obiettivo non è più di bloccare i flussi del capitale – il capitale viene invece interrotto, come una naturale conseguenza della libera proliferazione del desiderio che fluisce. Come diceva Fanon: “Tenterò una completa lisi di questo corpo malato” (F. F., 1986).
I virus sono gli organismi che si evolvono più velocemente sul pianeta. La loro velocità evolutiva può essere attribuita alla loro replicazione esponenziale – più copie vi sono di una sola entità, maggiori probabilità vi sono che essa consegua mutazioni adattative. Ogni mutazione potenzia la capacità di evasione e rende difficile da controllare la diffusione virale – infatti l’influenza evolve così rapidamente che certi anni il vaccino è efficace solo al 10%. Ciò che è istruttivo qui è che le ridondanze in un sistema creano nuovi vettori di fuga. Il capo del Dipartimento di polizia di Los Angeles ha recentemente affermato che una folla di diecimila persone è più facilmente controllabile di dieci folle da mille persone. Ciascuna di queste ridondanze trattiene la capacità di differenziarsi in funzione di nuove minacce e di disperdere le risorse del sistema atte a contenere il contagio in evoluzione.
Questa dinamica è stata evidente nella ribellione di Gerorge Floyd in cui il contagio sociale su scala nazionale è stato disorientante per una risposta federale coordinata. A Minneapolis si dice che i manifestanti siano stati frequentemente avvisati da qualcuno nella folla, spesso dopo un evento esplosivo, che la Guardia Nazionale era a 10 minuti da lì e stava per arrivare! Questo falso grido d’allarme è stato ripetuto talmente tante volte da diventare una barzelletta. In realtà, la Guardia Nazionale sarebbe arrivata nel momento in cui la ribellione cominciava a raggiungere il picco in un’altra città, limitandosi a compiti di pulizia e ad altre prerogative di gestione che erano rimaste nella scia del caos. La velocità della lisi su scala nazionale si riflette nel fatto che le folle erano in grado di Osservare, Orientare, Decidere e Agire prima del dispositivo statale, delle multinazionali, delle organizzazioni di sinistra, di quelle no-profit, lasciandole tutte impegante a portare avanti le autopsie sui loro corpi colpiti dalla lisi – i resti carbonizzati di un commissariato o di un negozio distrutto e saccheggiato.
Il passaggio tra fase lisogenica e fase litica non è deterministico ma, piuttosto, probabilistico. I geni virali formano assemblaggi complessi nel contesto biologico dell’ospite in modo che stimoli ambientali di varia natura, perturbazioni transitorie di sistema e il continuo rumore di sottofondo degli organismi viventi contribuiscano alla possibilità di oltrepassamento della soglia della fase litica. Similmente, non c’è algoritmo che predica le condizioni specifiche che producono una rottura sociale – non esiste un riot progettato. Le previsioni e la saccenteria intorno a possibili reazioni a delle elezioni o al verdetto di non colpevolezza di un poliziotto assassino svaniscono costantemente perché la transizione rapida verso la rottura è soggetta solamente alla composizione continua di stocasticità interne. La natura intrinsecamente statistica di questa fase di transizione è una caratteristica necessaria della fuga; se il processo fosse stato deterministico sarebbe potuto essere precluso. La fuga avviene solamenta nella misura in cui sorprende se stessa.
NELLA FINE ERA IL PRINCIPIO
L’avvento della pandemia del coronavirus ha solidificato una destabilizzazione delle categorie che sorreggono l’ordine politico occidentale, e la gestione statale come le risposte popolari hanno riflesso nella loro confusione questa destabilizzazione: la destra sembra afferrare la fiaccola della libertà protestando contro i lockdown, mentre la sinistra si aggrappa a regole e regolamenti contrapponendosi alla destra. Pur se le polarità politiche paiono essersi momentaneamente invertite, non deve sorprendere che nessun polo né alcun potere politico stabilito abbia prodotto alcuna risposta rivolta alla radice della nostra malattia collettiva. Soltanto l’onda globale delle insurrezioni punta a un orizzonte, tuttora vago, ulteriore rispetto alle nuove forme di controllo economico che tengono in ostaggio l’intera vita sul pianeta. Al tempo stesso, anche queste sollevazioni sembrano a loro volta finire per scontrarsi con i limiti delle categorie politiche del ventesimo secolo – partito, classe, programma, quegli elementi che avevano caratterizzato i movimenti rivoluzionari del passato sono largamente assenti nel conflitto in corso. Di conseguenza, questi movimenti sono soggetti alla stessa confusione che affligge i partiti d’ordine. Ciò ci richiede di focalizzare nella nostra situazione nuove figure che superino la logica di quelle categorie politiche. È solo ascoltando quello che il virus dice – il suo annientamento delle genealogie politiche, la sua latente riconfigurazione del corpo sociale e la velocità ancestrale con la quale si sviluppa – che possiamo iniziare a coglierle.
I virus sono il sub-comune [undercommon cfr. Stefano Harney et Fred Moten : Undercommons, fugitive planning and black study n.d.T.] del mondo biologico. Privo di origine tracciabile, il virus è insieme un’entità preistorica e la vera frontiera dell’evoluzione. Sempre in fuga, il virus non “appartiene” mai all’organismo nel quale risiede – per il corpo nel migliore dei casi è un estraneo, nel peggiore una infezione. Il virus è fondamentalmente impuro – è stato toccato da ogni cosa e continua incorregibilmente a cercare un contatto ulteriore. Mai statico, il virus oscilla tra la vasta temporalità della memoria e le scale temporali ultraveloci della replicazione microbiologica. Spesso resta in silenzio ma, come Moten diceva riguardo al duetto “Mutron” [Don Cherry, Ed Blackwell – Mutron / Bemsha Swing / Solidarity / Arabian Nightingale in El Corazón, 1982, EMC n.d.T.], “ciò che è scambiato per silenzio diventa, tutto a un tratto, transustanziale” (Moten 2013). Per sempre incompleto, riscritto di continuo, il genoma virale corrompe il linguaggio proprio della vita – un condotto elettrificato tra ciò che è stato e ciò che potrebbe essere ancora. Affascinante repertorio di geometrie, il virus prende forme innumerabili ma non può essere chiamato una forma-di-vita. Sempre qualcosa meno dell’unità fondamentale della vita, il virus esiste nello spazio liminale tra vita e non-vita, niente ma non assente, sporco di sangue e proprio per questo capace di mettere al mondo.
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