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Lettere dall’Ucraina: parte 2

A.

Seconda parte dell’intervista ad A., un compagno ucraino, datata 25 Marzo, apparsa originariamente in francese su Tous Dehors e poi in inglese su Endnotes.


Ciao, è un piacere ritrovarti per la seconda parte della nostra intervista, puoi iniziare descrivendo come si è evoluta la situazione dalla settimana scorsa?

Mentre l’avanzata russa è stata temporaneamente arrestata nell’Ucraina nord-orientale, alcune dinamiche precedentemente oscure stanno cominciando a diventare più chiare.

Il governo ucraino dovrà fare affidamento ai volontari per aiutare i rifugiati ancora nel paese. La mancanza di alloggi non è dovuta solo alla sorpresa dell’invasione. Con la dichiarazione di Volodymyr Zelensky secondo la quale un referendum nazionale potrebbe presto decidere il destino della Crimea e del Donbass, e l’intensificazione degli sforzi per la costruzione dell’immagine di una guerra di successo, le possibilità di una soluzione del conflitto sembrano ancora più fosche. Le forze russe hanno interrotto i loro tentativi di prendere le principali città, optando invece per tagliare le comunicazioni e circondare le truppe a est. I combattimenti di strada a Mariupol sono un’eccezione, e l’orribile distruzione, le innumerevoli morti civili e i bombardamenti incessanti nelle regioni di Kharkiv e Kiev testimoniano il prezzo drammatico di ogni guerra di logoramento.

Il governo di Vladimir Putin sta cercando di ripristinare una visione imperiale del ruolo della Russia e sta cercando da un decennio di porsi come gendarme regionale. Secondo te, in che misura i recenti eventi fanno parte della più ampia politica estera della Russia verso i paesi dell’ex zona di influenza sovietica?

Non credo che ci sia stato un vero e proprio “ripristino” dell’imperialismo russo. Certo, la Russia ha perso la sua posizione di principale nemico dell’Occidente con la fine della guerra fredda, ma la sua dimensione imperiale è rimasta. Piuttosto che vedere il crollo dell’URSS come una radicale rottura economica e politica, penso, al contrario, che dovrebbe essere visto in una sorprendente continuità. Le repubbliche sovietiche non si sono separate solo sulla base delle frontiere stabilite dall’URSS. Allo stesso tempo hanno ereditato e mantenuto le strutture sovietiche, come la gestione politica delle minoranze nazionali ed etniche. Così, i conflitti legati alle lingue minoritarie e, più in generale, all’autonomia o all’indipendenza regionale, che una volta erano incanalati attraverso la macchina politica di un partito ultra centralizzato (che spesso ne delegava la risoluzione alle nazioni “titolari”), hanno in un certo senso perso il loro arbitro. Mentre sotto l’URSS i problemi venivano risolti con trasferimenti forzati, repressione dei diritti culturali o linguistici e violente repressioni interne, le frammentazioni contemporanee portano ora a guerre aperte tra stati indipendenti.

Se si considera la dissoluzione dell’URSS come il risultato del lento sviluppo di linee di divisione interne alla struttura dell’Unione Sovietica stessa, allora l’assenza di un cambiamento “rivoluzionario” o di una recrudescenza nazionalista negli stati post-sovietici non è più sorprendente. A seguito di un processo che si è intensificato nel corso degli anni ’80 e ’90, e con il 1998 che ha segnato un momento di svolta con una crisi economica in Russia che ha fatto fallire molte imprese e ha permesso una maggiore penetrazione del capitale internazionale, la precedente autonomia a livello delle strutture statali e di partito si è riflessa in forme di maggiore indipendenza a livello delle imprese, mentre il mercato si è in compenso sviluppato. L’organizzazione delle imprese e le forme di sfruttamento si sono adattate lentamente alle strutture globali in rapido cambiamento, con il dissenso che passa inizialmente attraverso i canali burocratici sovietici stabiliti, prima di scendere in strada con la crescita delle popolazioni in eccedenza, mentre le imprese si liberano delle loro riserve di mano d’opera per ridurre i costi di produzione.

Vediamo due forme di imperialismo russo nella regione. In Bielorussia e Kazakistan, per esempio, la Russia ha relazioni amichevoli con la classe dirigente. Come per l’insurrezione kazaka nel gennaio 2022, le forze armate russe possono operare direttamente lì per condurre campagne repressive. Al contrario, la Russia sta assumendo un atteggiamento diverso in Ucraina e in Georgia. Non volendo perdere gli stati che erano vicini e un tempo altamente integrati, la stessa unità e continuità della Russia con questi stati è diventata una questione chiave nella sua politica estera. La Russia ha quindi ingaggiato una guerra aperta contro questi due paesi che rivendicavano la piena indipendenza. Inoltre, la paura che le rivolte ucraine potessero portare a disordini in Russia ha esacerbato il problema ed è servita come scusa per l’invasione ucraina. L’oligarchia russa, che conta sullo stato per beneficiare dei suoi monopoli nell’estrazione delle materie prime e nei settori energetici, ha naturalmente gli occhi puntati sul possibile sfruttamento dell’intera regione. La sfida per la classe dirigente russa è quella di mantenere i suoi obiettivi di dominio politico-militare a tutti i costi al fine di stabilire un impero economico-politico che generi rendite e profitti per le sue ricchissime élite.

Purtroppo, alcune analisi antimperialiste finiscono qui, con la Russia vista come la minaccia alla libertà occidentale. Ma non dovremmo nemmeno lasciare gli Stati Uniti fuori dall’equazione: senza ridurre le liberalizzazioni degli anni ’90 alle azioni di singoli politici, è chiaro che hanno contribuito direttamente al crollo del tenore di vita in ogni stato post-sovietico e che la regione è diventata un terreno fertile per la politica reazionaria. Gli Stati Uniti hanno anche contribuito all’aumento delle tensioni prima dell’invasione e si compiacciono di avere una scusa in più per aumentare i bilanci militari. La storia dimostra che il profitto ha spesso disatteso le narrazioni di una Russia “orientale” e intrinsecamente anti-occidentale. Basti ricordare che la Francia e la Gran Bretagna hanno combattuto volentieri a fianco di una Russia autocratica nella prima guerra mondiale, mandando le forze di spedizione russe nei campi di prigionia una volta che hanno iniziato a formare comitati di soldati dopo aver appreso della Rivoluzione, con la Francia delusa dal fatto che non ci sarebbe stata in seguito una Russia forte per sostenere la divisione della Germania. Gli Stati Uniti non hanno portato avanti la loro politica di autodeterminazione nazionale quando si trattava dell’Impero russo, sperando di cooperare con i bolscevichi, e nella storia più recente, hanno sostenuto Gorbaciov fino a quando la fine dell’URSS è diventata certa.

Dopo quasi un mese di guerra, qual è lo stato delle relazioni tra il governo ucraino e le fazioni nazionaliste?

È chiaro che il governo di Volodymyr Zelensky, nonostante la narrazione delle sue tendenze “filorusse” espresse durante il suo mandato, sta cercando di navigare con attenzione nelle pericolose acque dei negoziati di pace [in uno scambio con A., successivo all’intervista, emerge un dettaglio non trattato dai media internazionali: Zelensky, prima della guerra era stato accusato di essere “filorusso” da nazionalisti e liberali per aver provato a cercare alcune garanzie di pace in Donbass, e in quanto russofono, per aver tenuto discorsi in entrambe le lingue sostenendo “siamo tutti ucraini” n.d.T.]. Anche se i nazionalisti e i nazisti non sono a capo dello stato ucraino e non hanno mai goduto di un sostegno politico significativo, si sono saldamente stabiliti nell’esercito regolare e in varie milizie. Con l’invasione russa, attualmente il più grande veicolo di popolarizzazione del nazionalismo ucraino, e le spedizioni di armi che arrivano da tutto il mondo, in futuro i leader delle milizie potrebbero essere pronti a testare il loro potere se Zelensky dovesse vacillare.

La relazione tra il nazionalismo e lo stato ucraino è però più complessa. Come ogni stato-nazione, cerca di conciliare narrazioni storiche contraddittorie e vuole proiettare ogni opposizione sul piano della democrazia depoliticizzandola. Ciò finisce per ridurre tutte le singolarità storiche alla grande narrazione di una nazione unita, finalmente liberata dall’eterno impero russo, senza mettere in discussione la natura radicale della “liberazione” in questione. Bohdan Khmelnytsky, Simon Petliura e Stepan Bandera coesistono così con l’immagine degli ucraini che liberano i campi di concentramento [NdR: sono figure chiave del nazionalismo ucraino, e ognuno di loro ha perpetrato pogrom antiebraici]. Difendere solamente la parte liberale di questo stato è impossibile perché il suo mantenimento richiederà la violenza fascista non appena l’ordine sarà veramente minacciato. Negli ultimi giorni, possiamo persino assistere alla rapida sospensione della democrazia e alla messa al bando dei partiti per rafforzare l’unità nazionale negli sforzi di mobilitazione.

Inoltre, la stagnazione economica ha l’effetto di intensificare la violenza, che può miscelarsi con il sadismo sociale. Recentemente, alcuni saccheggiatori sono stati spogliati nudi e legati ai pali del telefono come forma di punizione immediata. Il governo, volendo assicurare la salvezza economica della nazione, non ha esitato a sospendere “temporaneamente” i diritti del lavoro. E ancora, l’uso di una lingua non ucraina può oggi essere sufficiente per renderti sospetto agli occhi dei “difensori” del corpo nazionale.

Contro la storia nazionalista, la nostra concezione non è quella dell’empatia per la museificazione delle lotte passate. E non è nemmeno motivata dalla curiosità o dalla ricerca di parallelismi a tutti i costi. L’unico parallelo tra noi e le persone seppellite e dimenticate dallo stato è che noi stiamo ancora lottando per un mondo futuro, e specialmente contro il mondo come è configurato attualmente. Qualsiasi movimento sociale che lo sfidi dovrà far esplodere le contraddizioni che assicurano il buon funzionamento della società civile ucraina.

Quali potrebbero essere le modalità di una politica che rifiuti sia l’autoritarismo russo che la dittatura dell’economia dell’Occidente? Negli anni a venire, una tale posizione potrebbe essere ascoltata in Ucraina e condivisa in massa?

Senza abbandonare la posizione “no war but class war”, può essere difficile immaginare una strategia più ampia degli sforzi di soccorso immediato. La situazione che affrontiamo ora è molto complessa e la quasi assenza di reti di solidarietà rivoluzionarie in Ucraina riduce notevolmente il numero di opzioni sul terreno. A volte offrirsi volontariamente per combattere può essere un’opzione più sicura che continuare a nascondersi. Per questo apprezzo che i rivoluzionari qui e all’estero stiano condividendo i loro dibattiti su questo tema e che molti gruppi differenti comprendano l’importanza di vere azioni di solidarietà a livello internazionale.

Nel formulare una strategia coerente, si potrebbe essere tentati di rimandare la lotta sociale a tempi più pacifici. In effetti, molto dipende dal risultato di questa guerra, ed è ancora difficile prevedere se l’Ucraina ha la possibilità di diventare uno stato “neutrale” o se siamo solo all’inizio di una lunga guerra di logoramento. È sempre più chiaro che le conseguenze della guerra saranno internazionali, con il Sud del mondo che subirà un altro duro colpo alla sua sicurezza alimentare due anni dopo lo shock del Covid-19. Tuttavia, non dovremmo soccombere a un binomio pace-guerra che, alla fine, serve solo a difendere la dichiarazione dello stato di emergenza da parte dei governi. Il protrarsi della guerra nel Donbass viene usato per giustificare la mancanza di azione contro la violenza reazionaria in patria e lo stato ucraino è in grado di sopprimere qualsiasi dissenso semplicemente dichiarandolo “filorusso”, lo hanno dimostrato ancora una volta. Non possiamo aspettare un capitalismo adeguatamente democratico e stabile, dovremmo adattarci alla catastrofe e cercare modi per espandere le possibilità della sua non-riproduzione qui e ora.

Oltre ad accettare e ospitare i rifugiati, dovremmo costruire strutture di solidarietà a lungo termine per prepararci alla crisi alimentare e climatica. Dobbiamo opporci alla militarizzazione del Nord del mondo, perfettamente consapevoli che queste armi si abbatteranno sui rifugiati così “diversi”, così “estranei” alla nostra civiltà. Tuttavia, sabotare spedizioni di armi altamente sorvegliate in Ucraina potrebbe non essere il modo migliore per minare le difese ucraine e la popolarità dell’esercito. Dovremmo sostenere le diserzioni di massa e gli ammutinamenti da entrambe le parti come l’unico modo realistico per fermare le coscrizioni e rompere l’atomicità dell’evasione della leva. Dovremmo contrastare l’immagine di una campagna di successo che l’Ucraina sta costruendo: questa guerra non si può vincere, e ogni minuto di negazione uccide sempre più persone. I proclami patriottici non aiutano i soldati appena arruolati, né aiutano la gente che non può evacuare dalle città lentamente accerchiate e bombardate, che, assicurano le autorità, “non cadranno mai”. Basta l’esempio storico della Deutsche Vaterlandspartei [Il “Partito Tedesco della Patria” era un partito politico di destra proto-nazista che cercò di mobilitare la Germania per un massimo sforzo bellico nel 1917] per dimostrare che, finché esiste una possibilità di vincere la guerra, le forze reazionarie si mobilitano per la sua continuazione.

Non possiamo continuare ad analizzare la situazione solo guardando simboli e slogan, vedendo il fascismo solo quando porta una svastica e inneggiando alle milizie con le bandiere nere. Nel primo caso, alcuni potrebbero essere motivati dall’incapacità di vedere il fascismo come una componente necessaria delle tecniche di governamentalità liberale, nel secondo, dal desiderio di un soggetto rivoluzionario puro. Un soggetto già cosciente non può formarsi, per quanto alcuni possano cercare di aggirare il problema della composizione proclamando la venuta del Messia in una lotta senza pretese, mentre altri sperano ancora in un’egemonia democratica rossa. Dovremmo affrontare di petto la nostra debolezza – i rivoluzionari coscienti sono solo una goccia nell’oceano di qualsiasi insurrezione – e fare in modo che diventi la nostra forza durante l’insurrezione.

Invece di celebrare la formazione di una sotnia [ сотня, letteralmente “cento”, è un’unità militare di 100-150 persone, notevole per il suo significato nazionalista in quanto sono state formate da cosacchi del XVI-XVIII secolo, nella Repubblica Popolare Ucraina, nell’Esercito Nazionale Ucraino e durante Euromaidan] di autodifesa “rivoluzionaria” in una rievocazione moderna del Sich della Zaporizia durante un’ altra Maidan, dovremmo mettere in discussione il feticismo della militanza tra i nostri compagni. Formare una gang maschile di strada incentrata sul mito della violenza non è l’unico modo per combattere il fascismo, e combattere nell’esercito regolare non è sicuramente il modo per sconfiggere lo stato. Dobbiamo opporci a chiunque cerchi di trasformare un’insurrezione in un affare “serio” e a coloro che perpetuano le divisioni di proprietà e di genere nell’insicurezza di un’occupazione di piazza. Per non appoggiare ciecamente i movimenti che si presentano come “antipolitici”, dobbiamo distinguere gli usi che si fanno delle diverse tattiche, perché barricate, molotov e occupazioni non sono rivoluzionarie di per sé. Cercare di “convertire” i movimenti reazionari e recuperare le narrazioni nazionaliste non aiuta la causa. Mentre i cosacchi ucraini hanno lasciato le loro mogli e le loro famiglie a casa per unirsi a uno stato mercenario democratico, noi siamo interessati a costruire comunità universalistiche che combattano contro le divisioni del presente. Il successo di un movimento contro la guerra in Ucraina dipende dalla nostra capacità di sfuggire alle trappole nazionaliste dell’organizzazione e di resistere all’inevitabile repressione.

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