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Vital Cells

Kevin Suemnicht

da Ill Will

Come possiamo fare a meno della tenace illusione occidentale del soggetto, che ostacola progetti organizzativi autonomi? Come possiamo diventare il tipo di persone in grado di portare una situazione rivoluzionaria alla sua conclusione? In questa proposta ambiziosa e polemica, Kevin Suemnicht arruola la cibernetica per ripensare l’organizzazione rivoluzionaria vitalista dalle fondamenta.

Non è questa la risposta alla domanda “cosa siamo”? Siamo abitudini, nient’altro che abitudini – l’abitudine di dire “io”. 

Gilles Deleuze

Dalla Primavera Araba alla Ribellione di George Floyd, l’ultimo decennio è stato testimone di una serie globale di eventi insurrezionali che hanno rafforzato l’immaginazione dei rivoluzionari di tutto il mondo. Attraverso un’intensa preparazione, una rapida escalation e l’innovazione dei gesti più importanti, rivoluzionari autonomi si sono spesso dimostrati capaci di funzionare come l’elemento più avanzato all’interno di questi movimenti sociali. Tuttavia, tali momenti di rottura hanno avuto la tendenza ad essere confinati in uno spazio e in un tempo eccezionali, incapaci di mettere in atto trasformazioni durature della vita quotidiana: confinati dalla controinsurrezione, alla fine soccombono ad un riassorbimento e ad una sublimazione all’interno dei canali della vita quotidiana, con tutte le rotture delle relazioni insurrezionali che questo comporta. Nel tempo che rimane da qui alla prossima ondata, come dobbiamo procedere?

La nostra scommessa è che molti dei limiti del movimento autonomo siano essi stessi organizzativi – una percezione che crediamo sia ampiamente condivisa. Per troppo tempo, il movimento anarchico e autonomo ha rifiutato un intenso e prolungato dibattito teorico sull’organizzazione, con il risultato che il nostro pensiero sull’argomento è rimasto in uno stato infantile autoimposto (self -incurred). Laddove questo dibattito è avvenuto, si è spesso trovato intrappolato in una sterile opposizione tra formalità e informalità che è tanto fallace quanto riduttiva. Sebbene molti di noi identifichino correttamente l’obsolescenza dei principali modelli tramandatici dal XX secolo – non vogliamo né una “One Big Union” né il classico partito di quadri della vecchia scuola marxista – la nostra modalità prevalente di organizzazione (qui indicata come “il milieu”) è gravemente carente. Ci sono altre forme organizzative che non sono state sperimentate?

In ciò che segue, proponiamo un cambiamento fondamentale nel modo in cui il nostro movimento si relaziona sia con sé stesso che con il mondo più ampio. Nel fare ciò, ci rivolgiamo a una fonte improbabile. Mentre è spesso oggetto di critiche giustificabili da parte dei rivoluzionari, suggeriamo, forse in modo controverso, che il pensiero cibernetico offre una risorsa trascurata per l’innovazione organizzativa all’interno delle correnti rivoluzionarie autonome. 

A metà del ventesimo secolo, l’antropologo e teorico dei sistemi Gregory Bateson pubblicò un testo che analizzava le cause dell’alcolismo e del recupero attraverso gli Alcolisti Anonimi, intitolato “La cibernetica del sé”2. Nel programma e nella struttura organizzativa degli AA, Bateson vide un esempio della nascente epistemologia cibernetica che lui stesso stava contribuendo a creare.

Si consideri il tipico fallimento degli individui che soffrono di alcolismo nello sconfiggere la loro dipendenza attraverso la propria volontà: l’alcolista, al risveglio da una baldoria, dirà a sé stesso che non berrà più, solo per ritrovarsi a bere poco tempo dopo. Nonostante i suoi sforzi, non può sconfiggere la dipendenza contando solo sulla sua volontà. Secondo Bateson, la logica dell’alcolismo deriva da un errore epistemologico caratteristico di tutto il pensiero occidentale, cioè la credenza nell’io autonomo. Dato che la natura della malattia è epistemologica, solo un cambiamento epistemologico può sconfiggere il ciclo della dipendenza3.

Uno dei meriti principali della Teoria dei Sistemi consiste nel fornire una visione alternativa del sé, una visione che corregge il cartesianesimo di fondo dell’Occidente. Se gli Alcolisti Anonimi offrono un caso di studio esemplare, ciò è dovuto al fatto che, attraverso il programma dei Dodici Passi, l’alcolista “rinuncia” all’assunto epistemologico della sua individualità autonoma e si arrende invece a un potere al di là del sé che “la riporterà alla sanità mentale”4. Questo potere, che si manifesta nelle credenze teologiche e nella partecipazione al gruppo degli AA, consente all’alcolista di inserirsi in un sistema che perpetua la sobrietà disattivando una relazione ossessiva con il sé.

Al di là di questo riorientamento epistemologico, i principi cibernetici si rispecchiano anche nella struttura organizzativa di AA, la cui unica caratteristica costante è l’aderenza alla struttura dei Dodici Passi e delle Dodici Tradizioni. AA ha milioni di membri in tutto il mondo senza alcun tipo di autorità centralizzata. La prima esperienza di Alcolisti Anonimi è stata segnata da una rapida espansione dal basso dell’organizzazione, che si è ramificata come un meme o un virus, con decine di gruppi locali che sono diventati centinaia e poi migliaia. Dato che chiunque può creare un nuovo gruppo AA, questa espansione è ottenuta attraverso il principio di attrazione piuttosto che di promozione.

Per i rivoluzionari, il fascino delle caratteristiche organizzative di AA dovrebbe essere evidente: essere in grado di organizzare masse di persone senza un’autorità centrale e attraverso un’auto-organizzazione immanente rispecchia il processo rivoluzionario stesso. Ciò che è ancora più decisivo, tuttavia, è il legame che stabilisce tra organizzarsi e diventare-altrimenti. In questo, vediamo quello che potremmo chiamare un principio vitale dell’organizzazione, in cui organizzarsi significa seguire traiettorie che ci permettono di superare gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del nostro potenziale. 

E se applicassimo questo stesso principio vitale alla corrente rivoluzionaria autonoma? Possiamo favorire formazioni politiche basate su un legame diretto tra organizzazione e bisogni umani? Possiamo andare oltre l’ideologia e organizzarci in modo tale da poter crescere nella potenzialità politica mentre superiamo le lotte che affrontiamo nella nostra vita quotidiana?

Quella che segue è una provocazione progettata per aprire un campo di sperimentazione e un ulteriore dibattito.

L’episteme cibernetica

La cibernetica è lo studio del controllo, ed è il precursore diretto del pensiero sistemico. Come epistemologia – un modo di conoscere il mondo – il pensiero cibernetico considera come le relazioni tra gli attori producono sistemi con caratteristiche regolatrici e propositive. In questo, rifiuta modelli causali semplici (a causa di b) in favore di una causalità circolare in cui ogni parte del sistema influenza tutte le altre ed è influenzata a sua volta (a influenza b, che a sua volta influenza a…)5. I sistemi rispondono all’informazione, le “differenze che fanno la differenza” e mostrano meccanismi di regolazione attraverso cicli di feedback o processi attraverso i quali l’informazione influenza ricorsivamente il sistema. Al centro del pensiero cibernetico c’è un’enfasi sull’analisi dei processi piuttosto che un’analisi delle cose. La cibernetica non si preoccupa di cosa sia una cosa, ma considera solo i processi che l’hanno prodotta e ciò che la cosa stessa può fare.

La cibernetica è diventata l’episteme dominante del XXI secolo6. Un’episteme, secondo Foucault, è la condizione di possibilità del pensiero all’interno di una data congiuntura storica7. La cibernetica, pur evocando un’immagine delle scienze informatiche, supera ampiamente il regno della tecnologia e si riferisce invece a un approccio generale alla conoscenza che trascende ogni particolare disciplina. Tutte le discipline oggi, consciamente o inconsciamente, traggono ispirazione e intuizione dal modo di pensare cibernetico, con il risultato che l’episteme cibernetica è in gran parte impensata. I critici del governo cibernetico deridono la cibernetica mentre, allo stesso tempo, evocano una miriade di concetti che sono emersi dall’episteme cibernetica e si basano su di essa.  

Questa confusione può essere riscontrata nel termine stesso “cibernetica”, la cui etimologia è quella di guidare, navigare o governare. La domanda è: chi sta tenendo il volante? È un esercito di tecnocrati senza volto? O l’organo di governo potrebbe essere una proprietà del sistema stesso? Bisogna ammettere che, come rivoluzionari, vogliamo dirigere i processi di cambiamento sociale verso la rottura e un modo di vita comune, proprio come i nostri nemici cercano il regno eterno dell’Impero.

C’è una cibernetica dall’alto, ma ce n’è un’altra dal basso. Consideriamo il seguente contrasto: 

Dal punto di vista dell’Impero, l’obiettivo della cibernetica è rendere le popolazioni oggetti governabili, rendere trasparenti le caratteristiche sistemiche e intervenire sul loro terreno. La cibernetica, a questo macrolivello dell’arte di governo, diventa una posizione dall’esterno, uno sguardo dalle torri panottiche del governo tecnocratico sulle masse brulicanti. Oggi, il modo dominante di governo così come l’organizzazione dell’economia può essere detto essere di tipo trascendentale-cibernetico. Le politiche delle finestre rotte [La teoria delle finestre rotte è una teoria criminologica sulla capacità del disordine urbano e del vandalismo di generare criminalità aggiuntiva e comportamenti antisociali, ndt] – tristemente note per aver aumentato l’arbitrarietà della violenza della polizia – sono un esempio di questo tipo di governo cibernetico. La criminalità, astratta in un foglio di calcolo delle incidenze criminali, è indirizzata a livello della popolazione; i quartieri con “tassi di criminalità” statisticamente più alti tenderanno a essere soggetti a una presenza più aggressiva della polizia8. Attraverso l’analisi algoritmica, l’Organizzazione internazionale per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico promuove “l’innovazione guidata dai dati” per la “crescita e il benessere” come mezzo per prevedere il comportamento dei consumatori e promuovere la resilienza economica di fronte alle perturbazioni sistemiche9. In questi e altri modi, attraverso un tessuto polimorfo di apparati, le forze astratte dell’Impero creano un ordine emergente con una stabilità maggiore di qualsiasi cosa prevista dai rivoluzionari del XX secolo. Mentre nessuna singola persona o istituzione dirige il sistema, la struttura cibernetica è una rete di misure preventive, dispositivi di misurazione e controllo, completi di ridondanze sistemiche per reimporre l’ordine anche all’interno di crisi sistemiche momentanee.

Esiste anche una cibernetica di microlivello, dove l’informazione e i cicli di feedback creano una regolazione senza ricorrere agli apparati trascendenti del governo. Il FitBit al polso, per esempio, fornisce a chi lo indossa statistiche sulle sue prestazioni, generando così cicli di feedback che alterano il comportamento. Quando parliamo di ecologia, parliamo anche di un processo attraverso il quale gli esseri naturali rispondono e sono alterati dalle fluttuazioni ambientali. Un accumulo di cicli di feedback negativi, positivi e di bilanciamento crea la fluidità e il movimento dinamico del mondo, proprio come l’umanità crea e risponde a questi stessi meccanismi, indipendentemente dal fatto che ne siamo coscienti o meno.

Non si tratta qui di glorificare o promuovere questa modalità immanente semplicemente perché non contiene un ordine gerarchico. Infatti, la prospettiva cibernetica immanente potrebbe persino facilitare una modalità di governo ancora più radicata ed efficace.

Non sorprende che la cibernetica immanente sia diventata l’ideologia regnante della Silicon Valley e della sua classe tecnocratica in ascesa. La transizione verso l’episteme cibernetica è stata a sua volta stimolata dai figli della New Left. Come ha mostrato Adam Curtis, la proliferazione di massa delle comuni che esplose sulla scia del fallimento del movimento studentesco incarnava consapevolmente i principi organizzativi dell’episteme cibernetico, dall’uso del feedback per facilitare la coesione del gruppo alla costruzione di cupole geodetiche10. L’intellettuale della contro-cultura Buckminster Fuller, che rese popolari le cupole, iniziò una rivoluzione del design che incorporava il pensiero sistemico – l’enfasi sulla connettività e sul feedback – per immaginare una nuova società che fosse in rete e non gerarchica. Mentre la rete delle comuni implodeva sotto il suo stesso peso, molti ex comunardi divennero pionieri della Silicon Valley ed esportarono la loro visione utopica nell’infrastruttura tecnologica dell’era cibernetica, ponendo le basi per quella che Deleuze definisce la società del controllo11.

Intuendo le connessioni tra governamentalità e Silicon Valley, teorici all’interno del movimento autonomo hanno mosso una forte critica contro la cibernetica come eticamente nulla e irreparabilmente manageriale12. Per tali pensatori, la cibernetica è intrinsecamente uno strumento dell’Impero che non può essere usato per niente se non per rendere il mondo governabile. In un recente articolo sulla governabilità cibernetica, Emmelhainz descrive l’orizzonte politico della critica cibernetica, invitando a resistere alla sua episteme attraverso “presenza, incarnazione, immediatezza e memoria umana” e a “trovare nuovi modi per creare vita invece di trasformarla in dati”13. Tuttavia, questi teorici ci offrono poco su come dovremmo procedere strategicamente, e quindi sono limitati nella loro potenzialità politica. Come possiamo riattaccarci alla presenza quando la stessa storia del mondo sta precipitando in un’altra direzione? In realtà, una volta che un’episteme è stabilita, c’è poca speranza di invertirla. La cibernetica, in quanto tale, è improbabile che venga mai sconfitta (inoltre non è chiaro cosa verrebbe sconfitto). Tuttavia, può essere destinata ad altri usi.

Dopo tutto, la verità è che l’ambiente rivoluzionario è stato a lungo cibernetico. Che si parli della gestione di un progetto comune come un centro sociale, o dei flussi e riflussi dei nostri gruppi di affinità, o degli appelli per la creazione di zone di eterogeneità – stiamo partecipando alla creazione di sistemi, e saremo soggetti alle dinamiche dei sistemi. “Prova. Fallisci. Prova di nuovo. Fallisci meglio”, il ciclo OODA [osserva, orienta, decidi, agisci, ndt] o la prassi sono modi di descrivere i meccanismi di feedback. Le tecniche che definiscono un’epoca, come quelle dei ribelli di Hong Kong, i meme-con-forza, la guerra a sciami, per non parlare dei perenni appelli per la creazione di mesh network, sono tutte spinte da principi cibernetici. La negazione di queste caratteristiche cibernetiche non fa che minare le nostre capacità di autoriflessione e, quindi, anche la produzione di creatività rivoluzionaria.

Mentre la società del controllo continua a svilupparsi, le basi materiali per il suo rovesciamento rivoluzionario si trasformano con essa. Nel XX secolo, i luoghi dominanti della lotta si sono verificati all’interno delle istituzioni paradigmatiche del suo tempo – la fabbrica, l’università, la hacienda, per esempio. Oggi assistiamo a una diminuzione del ruolo di questi luoghi all’interno del processo rivoluzionario, che corrisponde alla natura mutevole del potere14. Nella misura in cui corrispondono a queste istituzioni e ai gruppi identitari associati, i movimenti sociali classici rappresentano una forma di potenzialità in declino. Al contrario, il meme-con-forza, che scorre come flussi di informazioni attraverso il proletariato globale, corrisponde più fedelmente all’infrastruttura materiale del nostro tempo15. In definitiva, cerchiamo di affermare l’aspetto materiale del pensiero – di basare la pratica rivoluzionaria sulle condizioni reali della nostra epoca e di scoprire le capacità rivoluzionarie che già possediamo.

La cibernetica stabilisce quindi il terreno su cui le lotte del XXI secolo devono essere condotte, nel bene e nel male. Tuttavia, la posizione comune verso il governo cibernetico all’interno dell’ambiente autonomo tende esclusivamente alla sua negazione. Ponendo la cibernetica in termini strettamente negativi, come un nemico da combattere, ci stiamo impegnando in una polemica inutile, e diventiamo ancora più governati da ciò che rifiutiamo di capire. La faccenda in questione non è una scelta tra il “regime più duro o più tollerabile”, ma piuttosto, come dice Deleuze, l’inevitabile confronto tra forze schiavizzanti e liberatorie all’interno di questi regimi16. Se la governamentalità cibernetica è una forza che riduce in schiavitù, è allo stesso tempo la realtà materiale all’interno della quale si forgia la lotta contemporanea. Le lotte di oggi non sono semplicemente condotte all’interno delle fabbriche e delle università, ma piuttosto sul terreno metafisico degli stessi sistemi di controllo. L’opposto del governo cibernetico non è la sua completa distruzione, ma piuttosto la destituzione dei suoi meccanismi di governo17.

Oggi, il nostro compito dev’essere quello di accompagnare i principi cibernetici verso l’esilio strutturale e la creazione di una forza rivoluzionaria. In entrambi i casi, comunque, i principi ordinatori saranno operativi – lo sono già e lo sono sempre stati. Non c’è un esterno alla governamentalità, così come il progetto di governare è sempre incompleto. O cediamo lo spazio dei sistemi cibernetici ai nostri nemici, a coloro che ci sottomettono, o creiamo meccanismi attraverso i quali i processi di regolamentazione sono immanenti alla nostra stessa vitalità. Per portare avanti il processo rivoluzionario, per mettere in ginocchio l’Impero, il partito dell’anarchia deve diventare il partito di un altro ordine. La mancanza di libertà dell’anomia deve essere sostituita dalla libertà della positività rivoluzionaria e dal superamento di tutte le limitazioni storiche che abbiamo ereditato dal nostro mondo distrutto.

Due forme di fede

Un’organizzazione capace di affrontare i problemi del nostro tempo deve essere in grado di migliorare concretamente la vita di coloro che si impegnano nella lotta. Le organizzazioni rivoluzionarie devono riuscire a – o rendere plausibile la possibilità di – creare una vita felice per chi vi partecipa. Cioè, si deve procedere secondo il principio vitale per cui l’organizzazione è orientata al superamento dei nostri problemi immediati. La fede ingenua e messianica nel potere della rivoluzione di risolvere i nostri problemi terreni sono entrambe fuorvianti – il processo rivoluzionario stesso deve contenere il potere di deporre l’Impero, mentre guarisce le nostre anime

Tuttavia, il modo dominante della sua organizzazione oggi – il milieu – crea problemi all’interno della lotta che non è in grado di risolvere. Questo, a sua volta, induce i compagni a cercare soluzioni all’esterno, il che tende alla loro integrazione in varie dinamiche di prosperità e benessere. Analizziamo ciascuna di queste caratteristiche in modo più approfondito.

Il paradigma organizzativo che domina oggi nella corrente rivoluzionaria autonoma è il “milieu”, o scena radicale: una modalità di organizzazione basata su piccoli gruppi di amici che si distaccano dalla società e cercano di intervenire nelle lotte sociali. Come tutte le forme organizzative, ha la sua storia. Negli ultimi anni, il milieu anarchico insurrezionale ha funzionato come il figlio sfortunato dei dibattiti sulla formalità/informalità all’interno dell’anarchismo insurrezionale. Rifiutando di occupare un posto all’interno del pantheon ideologico delle forme politiche esistenti, affermando la sua posizione nella modalità di una non-posizione, il milieu funziona come un default assiomatico che si è escluso dal regno della critica sulla base del fatto che non offre “modelli” propri: l'”autonomia” diventa una controfigura del milieu stesso. 

Eppure, la forma organizzativa del milieu ostacola il suo potenziale rivoluzionario in vari modi. Mentre ci si immagina di stare al di fuori della società come uno spazio puro e protetto dai malvagi comportamenti della società, il milieu ricrea continuamente una tirannia di assenza di struttura, mentre la sua organizzazione informale riproduce le gerarchie sociali esistenti. Mentre la sua politica naif di amicizia ha alcuni vantaggi in termini di promozione delle intensità politiche, tende verso una forma di chiusura culturale e razziale che impedisce la promozione di relazioni politiche attraverso le differenze sociali. Infine, con il milieu ci mancano i mezzi per promuovere le capacità dei nostri compagni. Da un lato, ci diciamo che siamo tutti uguali, mentre allo stesso tempo grandi differenze di esperienza e disuguaglianze nelle nostre relazioni dicono la verità della nostra situazione.

Senza i mezzi pratici per superare questi ostacoli immediati, molti compagni del milieu proiettano i loro desideri materiali, esistenziali e spirituali immediati sull’evento futuro della rivoluzione. Questo finché non abbandonano del tutto il movimento.

Fuori dal milieu, l’ordine borghese ci offre una sfilata di modelli di benessere per far fronte alla miseria oggettiva della nostra epoca. I modelli di benessere riproducono il modo dominante della soggettività sotto il capitalismo – l’errore epistemologico descritto da Bateson – in quanto si basano sulla cura di sé con poca considerazione dei processi sociali più ampi che producono inizialmente il malessere. Nel frattempo, queste tendenze propongono modelli irreali e normativi di salute, che o rimangono irraggiungibili o vengono raggiunti solo a spese della creazione di una vita completamente interiore, sia tagliata fuori che ostile rispetto alle altre persone. Da una forma organizzata di miseria, siamo incoraggiati a lottare per una pace relativa e individualistica. Cercando il “benessere” nell’isolamento, gestendo il nostro corpo con austerità, consolidiamo ulteriormente una condizione di alienazione che non fa che diminuire le nostre potenzialità. In definitiva, il benessere non può farci stare bene, per la semplice ragione che rappresenta lo sforzo del sistema esistente di risolvere le proprie contraddizioni. Mentre il milieu e il dispositivo del benessere si rivelano entrambi forme di fede, noi proponiamo invece che la modalità di organizzazione necessaria unisca l’organizzazione al principio vitale. È a questa proposta di organizzazione che ci rivolgiamo ora.

Cellule Vitali

Cosa significherebbe andare oltre il milieu e creare un’organizzazione basata sulla differenza, la resilienza, la crescita personale e collettiva, e l’effettivo superamento dei problemi del mondo?

Proponiamo il modello delle cellule vitali come una modalità alternativa di organizzazione che si muove attraverso la nostra organizzazione attuale verso un nuovo livello, trascendendo i suoi limiti. In effetti, nei luoghi dove il nostro movimento è forte, molti di questi principi sono già praticati.

Attingendo all’organizzazione degli Alcolisti Anonimi, le cellule vitali sono un modello organizzativo caratterizzato da una rete distribuita di cellule composte da individui intercambiabili che sono animati da principi comuni in risposta a problemi concreti, una rete che è facilmente riproducibile, e che integra meccanismi di feedback per guidare lo sviluppo del gruppo.

Consideriamo ciascuna di queste caratteristiche a turno.

Organizzazione cibernetica

In una rete distribuita i singoli nodi comunicano tra loro senza ricorrere a un’agency centralizzata18. Anche se forse nessuno rifiuterebbe un tale modello, le cellule vitali si distinguono da altri modelli decentralizzati attraverso l’uso di un protocollo di base e un’enfasi sulle relazioni estrinseche.

Le relazioni estrinseche si riferiscono all’autonomia degli individui in relazione alle cellule. Manuel Delanda descrive questa distinzione tra le relazioni di interiorità e quelle di esteriorità come segue:

“A differenza degli insiemi in cui “essere parte di questo insieme” è una caratteristica che definisce le parti, cioè in cui le parti non possono sussistere indipendentemente dalle relazioni che hanno tra loro (relazioni di interiorità), dobbiamo concepire insiemi emergenti in cui le parti mantengono la loro autonomia, in modo che possano staccarsi da un insieme e inserirsi in un altro, entrando in nuove interazioni19.”

Dal punto di vista del sistema, le relazioni all’interno di un sistema non sono presupposte all’identità della parte con il tutto20. Le singole parti che compongono il sistema mantengono la loro autonomia nei confronti della particolare cellula e degli altri partecipanti. Una singola parte, cosa importante, può quindi relazionarsi con diverse cellule contemporaneamente. Usando la terminologia della rete, le cellule vitali sono i vertici – i nodi di un sistema – mentre gli individui che vi partecipano sono i bordi – i vettori di comunicazione tra i nodi. Poiché le cellule non possiedono una totalità trascendentale, ma sono esse stesse basate su principi di transitorietà ed eterogeneità, possono sorgere in risposta a problemi e dissolversi quando hanno completato il loro compito. Un tale modello è in contrasto con il modello costituente delle organizzazioni classiche in cui gli individui sono sussunti in sezioni locali che sono a loro volta sussunti da organismi nazionali e internazionali (relazioni di internalità).

Attraverso il concetto di relazioni estrinseche, possiamo cominciare a pensare all’organizzazione senza ricorrere alla sterile opposizione tra organizzazione formale/informale. Poiché i partecipanti alle cellule vitali mantengono la loro distinzione, l’organizzazione emerge attraverso le interazioni di pezzi fondamentalmente singolari.

Alcolisti Anonimi offre un esempio di questi principi in azione. Qui l’organizzazione si sviluppa attraverso la partecipazione degli individui a riunioni autonome. Un dato individuo può partecipare a diverse riunioni alla settimana, ognuna delle quali è composta da una diversa rete di alcolisti. In questo modo, c’è una circolazione generale tra i partecipanti nei vari incontri. Non ci sono meccanismi per riunire l’intero corpo degli AA. Esistono varie riunioni regionali e nazionali, ma la partecipazione al loro interno è volontaria e composta da delegati di varie riunioni. Inoltre, le riunioni più grandi hanno poco effetto sulle operazioni quotidiane dei gruppi di AA, che rimangono sempre localmente indipendenti e ricettive ai loro particolari contesti.

Un fallimento fondamentale del modo di organizzazione del milieu sta nella sua immensa vulnerabilità al collasso sociale totale. Ogni passo che facciamo verso l’organizzazione può crollare al suolo dopo un singolo evento catastrofico. La lezione da trarre da tali implosioni è che i singoli individui non devono determinare il successo o il fallimento di una cellula vitale. L’organizzazione autonoma è più forte dove la comunicazione e il flusso tra diversi gruppi indipendenti è massimizzato. Più i singoli membri si confinano all’interno di un singolo gruppo (e quindi si identificano con esso) più l’organizzazione diventerà fragile. La massima stabilità si ottiene quando una molteplicità di attori impedisce a un solo agente di determinare i successi o i fallimenti del sistema. Attraverso le relazioni estrinseche, le cellule vitali devono invece tendere a una robustezza sistemica in cui i processi sovrapposti e ridondanti aumentano la stabilità del sistema.

Nella pratica, le cellule vitali sono formate da un piccolo numero di compagni: suggeriamo 5-10 individui per cellula. Ogni persona dovrebbe partecipare contemporaneamente a due cellule. La prima è la “primaria” ed è composta da membri che già fanno parte del milieu o è la cellula a cui ti unisci inizialmente. Avendo fondato una cellula base (home cell), ogni membro della cellula vitale dovrebbe sforzarsi di creare un’altra cellula composta da partecipanti che vengano da fuori al milieu (o che al momento non si organizzano). la cellula base deve comunicare con i suoi membri per promuovere l’organizzazione della seconda cellula. Avendo organizzato due cellule, l’individuo dovrebbe cessare di espandersi quantitativamente e dovrebbe piuttosto crescere qualitativamente. Ciò impedisce una mentalità di “crescita a tutti i costi”, pur permettendo alle cellule particolari di espandersi. Una volta che una cellula raggiunge la sua capacità massima, dovrebbe dividersi in due o più cellule. Attraverso questo processo, le cellule possono espandersi in ogni direzione. Nel tempo, le connessioni tra gruppi di cellule cambieranno, e possiamo immaginare diverse “sezioni” di cellule che emergono nel tempo. Infine, le cellule dovrebbero incorporare date di scadenza in cui la cellula si scioglie e una nuova cellula si forma dai suoi pezzi. Questo serve a prevenire la stagnazione, a promuovere l’opacità, rendendole così illeggibili alla polizia, e a formare un maggior numero di legami intensi tra altri compagni.

Affinché le cellule vitali mantengano la loro coerenza, ci deve essere un protocollo sottostante che anima l’attività del gruppo entro certi parametri. Secondo Alexander Galloway, i protocolli sono le “regole convenzionali che governano l’insieme dei possibili modelli di comportamento all’interno di un sistema eterogeneo”.21 Il concetto di protocollo deriva dal funzionamento pratico di internet, dove un piccolo numero di protocolli di base (TCP/IP e DNS) dettano i contorni della rete, specificando come le informazioni viaggiano attraverso la rete e mappando gli indirizzi di rete ai nomi di rete. Negli AA, i Dodici Passi e le Dodici Tradizioni formano il protocollo, che fornisce le informazioni di base necessarie al funzionamento del sistema. Attraverso questi semplici principi di base, una rete riceve la stabilità di base attraverso la quale può funzionare e senza la quale la comunicazione tra i nodi non avrebbe la coerenza necessaria per lavorare insieme. I protocolli sono quindi una forma di controllo che promuove comportamenti vantaggiosi all’interno di un sistema, mentre ne disinibisce altri. Fondamentalmente, se desideriamo che le cellule vitali abbiano un contenuto rivoluzionario, il protocollo dovrà codificare direttamente la rivoluzione. Se alcuni dei nostri progetti si sono dimostrati vulnerabili ad una deriva liberale, è perché non c’era un protocollo rivoluzionario per contrastare tale tendenza.

Come vengono prodotti i protocolli? È una domanda difficile – come possiamo decidere il protocollo per le cellule vitali senza ricorrere a una agency centrale che per prima lo articola e lo stabilisce? I protocolli iniziali dovrebbero essere determinati attraverso una conversazione sostenuta sui valori e i principi che già animano il movimento autonomo. Questo per dire che possediamo già dei protocolli – impegni che permettono agli ambienti esistenti di funzionare con un grado base di coerenza. La sfida è quella di articolare questi protocolli, di tirarli fuori dal nostro inconscio collettivo dall’interno delle nostre forme di organizzazione così come esistono attualmente. Scopriremo che, di fatto, i protocolli esistono già, ma agiscono come ideali non realizzati che non possono essere dichiarati chiaramente. Rendendoli espliciti, permettiamo che il dibattito avvenga intorno ad essi e quindi che questi protocolli si evolvano attraverso la riflessione consapevole del gruppo. Nella conclusione che segue, includiamo una serie di domande che possono aiutare le conversazioni in questa direzione.

Il protocollo semplice permette la mimesi, pur consentendo la riproduzione sistemica entro limiti accettabili. Inoltre, è importante notare che l’organizzazione procederà dai punti di contatto iniziali – non procederà sulla base di chiamate astratte all’ organizzazione ma emergerà da sforzi organizzativi reali. In altre parole, avere un potente insieme di principi di base permetterà ai partecipanti delle cellule di dividersi e formare ulteriori cellule in risposta ai problemi.22

Di nuovo, torniamo all’esempio degli AA che si sono diffusi rapidamente durante i primi anni in gran parte perché la semplicità del loro protocollo ha permesso a molti gruppi autonomi di crescere rapidamente in risposta al problema dell’alcolismo. Abbiamo riprodotto le Dodici Tradizioni di AA qui sotto come esempio di protocollo. Se i nostri gruppi non crescono, è perché stanno operando sotto una serie di presupposti di fondo che non promuovono la crescita. Se desideriamo far crescere la nostra organizzazione, dovremo adottare dei principi che possano essere facilmente propagati.

Infine, nonostante le cellule vitali siano una risposta agli ostacoli che affrontano il milieu autonomo, vogliamo sottolineare ancora una volta che l’obiettivo di questa modalità di organizzazione è quello di svilupparsi all’interno piuttosto che polarizzarsi contro i milieu esistenti. In questo modo, immaginiamo il milieu come il primo strato di consistenza organizzativa, con le cellule vitali che formano un secondo strato più coerente, e con progetti specifici rivolti al pubblico e organizzazioni formali che formano un terzo strato concomitante.

Avendo delineato le caratteristiche di base dell’organizzazione che immaginiamo, passiamo al feedback come secondo pilastro delle cellule vitali.

Feedback critico

Il feedback si verifica quando un sistema risponde ai suoi stessi output. Per i nostri scopi, i meccanismi di feedback sono un mezzo attraverso il quale i risultati dei nostri comportamenti e delle nostre azioni possono essere analizzati e modificati. Consideriamo cosa abbiamo provato a fare, come ha funzionato e cosa faremmo meglio la prossima volta.

Il feedback all’interno dei sistemi, tuttavia, deve essere orientato verso un obiettivo comune del sistema. C’è quindi una direzionalità all’interno del processo di feedback, un processo di sviluppo della coerenza e della stabilità in mezzo al caos sottostante dei suoi processi interni. Ci deve quindi essere un mezzo per determinare e sviluppare questa direzionalità. A differenza degli apparati di governabilità cibernetica, non ci poniamo un quadro normativo verso il quale si rivolge la direzionalità di un sistema, oltre a quello della rivoluzione. Dobbiamo distinguere, tuttavia, tra una nozione di direzionalità artificiosa o teleologica e una direzionalità aperta. Mentre un modello normativo presuppone un principio sottostante di ordine naturale, il nostro modo non pone alcun ordine metafisico sotto il flusso e il caos dell’universo.

Il meccanismo che proponiamo per guidare il processo di feedback è l’atto simultaneo della critica. Quando sono uniti, il feedback e la critica diventano un feedback critico.

La critica è il compito di identificare i vettori di potere che costituiscono il sé23. Attraverso la critica, arriviamo a identificare le operazioni della governamentalità sui nostri corpi e sulla produzione di noi stessi come soggetti. Distinzioni identitarie, marcatori di abilità fisiche e mentali, categorizzazioni della salute mentale, traumi, dinamiche di gruppo, tossicodipendenza – tutte queste caratteristiche che ci compongono come soggetti sono contemporaneamente vettori di potere. Possiamo chiamare questa organizzazione di tratti “soggettività”. Il compito critico è quello di identificare questi vettori, e quindi di trasformarli in problemi suscettibili di intervento.

La critica ci permette di scoprire come le nostre identità e i nostri modi di essere sono stati prodotti dai dispositivi dell’ordine sociale. Questi dispositivi nominano il nemico, le pratiche della nostra dominazione la cui distruzione segna la strada della nostra liberazione. Impegnarsi nella critica è fare un voto per unirsi a un processo di divenire-altro, di gettare via le eredità infernali che ci hanno fatto come siamo. Non si tratta quindi solo di negare ogni dispositivo di assoggettamento, ma anche di fabbricare un processo di divenire-altro, di divenire-rivoluzionario, di inaugurare il popolo che verrà.

Feedback e critica si uniscono per informare un processo di riabilitazione progettato per svelare le performance abituali che producono l’identità. Ci riuniamo, articoliamo un percorso di divenire-altro, e poi forniamo un feedback a coloro che si impegnano nel processo. Come abbiamo fatto? Stiamo sfidando i nostri modi abituali di essere nel mondo? Dove abbiamo fallito? Quali sono i mezzi che ci permetterebbero di superare questi limiti? Quali passi devono essere fatti? L’abitudine è una forza potente: se tentiamo di divenire-altro al di fuori del feedback coerente di altri che camminano su un percorso condiviso, è probabile che ricadiamo nei modelli di comportamento e di condotta che hanno definito le nostre vite fino a quel momento. In questo modo, il feedback critico è un metodo fondamentale per qualsiasi processo che sfida la soggettività storica.

Il primo problema che le cellule vitali cercano di affrontare è quindi il problema della soggettività storica. Al livello più elementare, questo è solo per dire che siamo soggetti in modi che riflettono la violenza di questo mondo – siamo soggetti come uomini e donne, neri e bianchi, coloni e colonizzati. Uno dei principali problemi della sinistra è che ci chiede di essere diversamente – di smettere di riprodurre i vettori della violenza storica. Eppure, non ci offre alcun mezzo pratico per superare queste dinamiche al di là della cancel culture e dei vaghi appelli alla giustizia riparatrice. Allo stesso tempo, dobbiamo comunque riconoscere che nessuna organizzazione rivoluzionaria può procedere senza porre una soluzione provvisoria al conflitto interpersonale – il fallimento nell’affrontare le questioni razziali e di genere ha costantemente minato il movimento autonomo. Inoltre, ancorando le cellule vitali alle questioni del potere e della disuguaglianza, speriamo di evitare le insidie delle comuni cibernetiche discusse sopra, trasformando la navigazione del potere in un motore del divenire-altro.

Rifiutiamo la posizione ingenua dell’auto-abolizione posta all’interno dell’anarchismo nichilista24. I sé che ci vengono offerti dall’ordine regnante devono effettivamente essere aboliti, ma un’insurrezione non è capace da sola di fornire una consistenza duratura alla soggettività rivoluzionaria. Questo non vuol dire che non dovremmo diventare traditori della razza, abolire il genere, e imbarcarci in mille esperimenti di essere radicalmente diversi e militanti ostili alle forze della sottomissione. Ma non possiamo farlo senza un mezzo di organizzazione che possa nutrire e permettere ad altri modi di essere di fiorire oltre i momenti di rottura.

Allo stesso modo, non dobbiamo essere ingenui sulle possibilità di auto-abolizione volontaria al di fuori del più ampio processo rivoluzionario. Nelle strutture imposte dall’Impero, i meccanismi della soggettività servono come mezzo principale per rafforzare le divisioni sociali. Tuttavia, non possiamo procedere alla rivoluzione senza iniziare il processo e spingerlo fino ai suoi attuali limiti sistemici, quelli imposti dalla nostra congiuntura storica. In questo modo, l’organizzazione rivoluzionaria cerca di portarci a questi limiti, mentre la rivoluzione stessa ci porterà oltre.

Esempio di critica: La presa di coscienza femminista

Durante il movimento di liberazione delle donne, la critica è stata usata per articolare le esperienze condivise e le aspirazioni politiche delle donne. La pratica si spiega meglio con le parole delle sue praticanti:

I gruppi di presa di coscienza sono la spina dorsale del Movimento di Liberazione della Donna. In tutto il paese le donne si incontrano regolarmente per condividere esperienze che ciascuna ha sempre pensato fossero “problemi miei”. Molte donne sono sconvolte dai commenti che gli uomini ci fanno per strada, per esempio, ma pensiamo che le altre donne gestiscano la situazione molto meglio di noi, o semplicemente non ne siano così infastidite. Attraverso la presa di coscienza cominciamo a capire noi stesse e le altre donne osservando situazioni come questa nella nostra vita. Vediamo che i problemi personali condivisi da tante altre – non essere in grado di uscire di casa abbastanza spesso, essere esauste per occuparsi dei bambini tutto il giorno, forse sentirsi in trappola – sono in realtà problemi politici. Comprenderli è il primo passo per affrontarli collettivamente, sia che si tratti di formare un centro di assistenza diurna, di esplorare le possibilità lavorative, o di pianificare la migliore strategia per convincere i nostri mariti ad aiutarci nei lavori di casa.25

Discutendo le loro esperienze comuni, la presa di coscienza diventa il motore dell’organizzazione politica. Allo stesso modo, le cellule vitali partono dalle esperienze reali dei partecipanti. Nessun programma, in virtù della sua prospettiva parziale, può accogliere tutti i bisogni e i desideri dei partecipanti. Perciò, attraverso la critica, possiamo incoraggiare le esperienze incarnate e vissute come forza creativa della nostra organizzazione.

Esempio di Feedback: il Tekmil

Che sia durante le riunioni tra partigiani, nelle palestre antifasciste o negli spazi di vita collettiva, i recenti sforzi per sviluppare la pratica del tekmil offrono un esempio di uno sforzo per incorporare il feedback nell’attività rivoluzionaria. Tratto dal movimento curdo, il tekmil è un processo di critica costruttiva di gruppo. In breve, il tekmil prevede che il gruppo si riunisca e a turno offra critiche e autocritiche sulle dinamiche di gruppo. Le sessioni di tekmil sono condotte da facilitatori che sono responsabili di moderare le dinamiche di gruppo e di prendere appunti sulla sessione. È importante che i partecipanti non siano autorizzati a rispondere direttamente alle critiche, e una volta che una critica è stata fatta, la stessa critica non viene ripetuta dagli altri partecipanti. Una volta che ogni persona ha avuto l’opportunità di esporre le proprie critiche e autocritiche, il gruppo passa a un secondo turno in cui i partecipanti propongono soluzioni ai problemi sollevati. Attraverso questo processo di critica di gruppo, l’attività futura del gruppo, le azioni e i comportamenti individuali e collettivi possono essere modificati. Tekmil ci invita a liberarci degli attaccamenti egoistici e ad aprirci ai giudizi pratici degli altri. Questo richiede molta pratica, così come criticare gli altri. Gli esperimenti autonomi di tekmil in Nord America non hanno ancora dato i loro frutti. Dobbiamo sfidare noi stessi su questo fronte – il nostro movimento non progredirà senza implementare meccanismi di feedback26.

Disciplina e Controllo

Mentre l’organizzazione cibernetica e il feedback critico ci danno una struttura e un metodo dinamico per affrontare i processi di gruppo, l’incorporazione della disciplina rivoluzionaria ci permette di attualizzare i processi politici. A sua volta, attraverso l’organizzazione, possiamo cominciare a risolvere i problemi della nostra epoca e a costruire la forza materiale capace di guidare un processo rivoluzionario.

Una delle lezioni più importanti che impariamo dagli Alcolisti Anonimi è il concetto di resa. Nel caso degli AA, arrendersi significa che cessiamo di cercare di vivere la vita alle nostre condizioni (nei termini di Bateson, attraverso l’epistemologia occidentale dell’individualismo), e consegniamo invece la nostra vita a un potere più grande di noi stessi”. Le caratteristiche dei primi tre passi sono così potenti che richiedono di essere ripetute:

  1. Abbiamo ammesso di essere impotenti per l’alcol, e che le nostre vite erano diventate ingestibili.
  2. Siamo giunti a credere che un potere più grande di noi stessi potesse riportarci alla sanità mentale.
  3. Abbiamo preso la decisione di affidare la nostra volontà e la nostra vita alla cura di Dio quando l’abbiamo compreso.

Ciò che vediamo qui è il riconoscimento dell’agency limitata dell’individuo, il riconoscimento che solo qualcosa che supera l’individuo può creare il cambiamento, e, infine, la consegna della propria agenzia limitata a qualcosa di più grande27.

Questa è la promessa dell’organizzazione rivoluzionaria: che possiamo perdonare noi stessi per la storia in cui siamo nati, e sulla quale siamo impotenti, e che possiamo, a nostra volta, vivere in serenità consegnando la nostra speranza di cambiamento al processo dell’organizzazione collettiva stessa. Le colpe e i fallimenti individuali devono essere affrontati a livello organizzativo in modo che l’individuo possa essere liberato dal peso di sostenere da solo il cambiamento sociale. Sempre che l’individuo partecipi seriamente al processo del gruppo stesso.

In pratica, questo significa utilizzare i meccanismi dell’organizzazione cibernetica e del feedback critico per proporre soluzioni pratiche – anche se limitate – ai problemi che ci affliggono come individui nel capitalismo e come partecipanti nei gruppi. Fare ciò implica che i membri cedano alcune delle loro scelte individuali al processo di gruppo. In altre parole, dobbiamo accettare volontariamente la disciplina del gruppo. Naturalmente, dobbiamo anche avere dei meccanismi per proteggere l’individuo, e uno dovrebbe sempre sentirsi autorizzato a lasciare una cellula vitale sia in caso di abuso, sia nel caso in cui questa cessi di soddisfare i suoi bisogni e desideri. Questo è inoltre aiutato dal fatto che ogni cellula mantiene la sua autonomia e avrà obiettivi leggermente diversi, così come diverse dinamiche di gruppo. Idealmente, si desidera vivere all’interno della disciplina, perché così facendo si favoriscono i processi di diventare rivoluzionari, e la sensazione di crescita delle nostre capacità tende a diventare essa stessa una fonte di ritrovata felicità. Per i nostri scopi, quelli dell’organizzazione rivoluzionaria, i principi del controllo e la parziale limitazione dell’agency individuale sono sostenuti dai principi della critica e del feedback. Impegnandosi costantemente in processi di feedback di gruppo, i sistemi di controllo della cellula vitale producono un’azione superiore a quella dell’individuo.

In questo modo, e in contrasto con la falsa nozione di libertà promessa dal capitalismo borghese, le cellule vitali istigano la libertà attraverso la disciplina e il controllo – cioè, impegnandosi in esperimenti per superare i problemi, creiamo sistemi di controllo per divenire-altri. La libertà, quindi, emerge attraverso la gestione dei sistemi di controllo in modo diverso, piuttosto che attraverso il rifiuto generalizzato di questi sistemi. Rifiutiamo l’idea che i rivoluzionari debbano muoversi attraverso la vita senza comunicare i loro obiettivi, ambizioni e intenzioni agli altri – dobbiamo andare oltre il regno dell’individualità borghese.

Quante volte i progetti sono falliti a causa di più compagni che hanno deciso di lasciare la città per diversi mesi? O quando i compagni si rifiutano di cercare aiuto per problemi di salute mentale? O più seriamente, per aver commesso un atto di violenza contro un altro compagno? Qualunque altro caso in cui l’individuo rifiuta gli imperativi collettivi ci mostra la necessità di meccanismi collettivi per influenzare il comportamento individuale. Così facendo, possiamo mettere in moto questi sistemi di controllo per promuovere esperimenti di divenire e di superamento.  L’assenza di tali meccanismi diluisce i nostri poteri e ci rende dipendenti dai desideri individuali (che sono essi stessi il prodotto delle forze del sistema dominante). In questo modo, cerchiamo di produrre istanze di singolarità, di superare la dialettica individuale-collettiva e di utilizzare strategicamente il controllo per produrre un divenire rivoluzionario nei contorni della vita quotidiana.

In definitiva, parliamo di disciplina rivoluzionaria. Ma per disciplina non ci riferiamo né ai microfascismi della vita dei quadri militanti che affliggevano le formazioni di lotta armata degli anni ’60 e ’70, né alla libertà illusoria del regime contemporaneo.28 Piuttosto, indichiamo l’attrito tra questi poli, la tensione che emerge dall’incontro con una agency di controllo di nostra creazione. Anche se di solito si oppongono, libertà e controllo si incontrano ai margini del desiderio per rompere la paralisi delle nostre soggettività ereditate.

La verità è che non sappiamo cosa fare perché non sappiamo cosa vogliamo, e non sappiamo cosa vogliamo perché ci manca la disciplina rivoluzionaria. Attraverso la disciplina, perseguiamo la chiarificazione dei nostri desideri. Se partiamo continuamente dai nostri desideri così come sono stati prodotti dall’ordine borghese, non andremo mai oltre il nostro intrappolamento nell’organizzazione del desiderio prodotto dall’organizzazione della produzione delle merci. Il desiderio liberato in sé non è direttamente o immediatamente accessibile: è solo attraverso l’attrito tra la disciplina rivoluzionaria e il desiderio che la liberazione può iniziare.

Conclusioni

Chi vince erediterà tutte queste cose 

Apocalisse 21:7

Il sogno delle cellule vitali è che la nostra tendenza possa iniziare a sviluppare soluzioni a lungo termine ai problemi che ci affliggono – burnout, aggressioni sessuali, mascolinità tossiche, così come la povertà, la dipendenza dal lavoro salariato, la nostra dipendenza dall’estrazione delle risorse – in modo che possiamo iniziare a costruire positività autonome al di fuori del milieu. Sogniamo un progetto rivoluzionario dove ognuno possa sviluppare le proprie capacità e superare i propri traumi, dove tutti, indipendentemente dalla loro provenienza, possano muoversi verso l’idea meravigliosa come la intendono, con l’aiuto degli altri.

Noi – cioè il ‘noi’ che sta fuori dai milieu di sinistra e autonomi – dobbiamo diventare il tipo di persone che potrebbero portare con successo una situazione rivoluzionaria alla sua conclusione. Le acute predisposizioni del nostro mondo hanno inflitto una violenza indicibile a ciascuno dei nostri corpi.29 Ogni movimento rivoluzionario deve risolvere queste profonde contraddizioni all’interno del processo rivoluzionario stesso.

Allo stesso tempo, ciò che abbiamo abbozzato qui non equivale a un programma, ma è semplicemente un approccio a una serie di problemi, nonché una serie preliminare di strumenti che potrebbero rivelarsi utili per andare oltre il milieu. Piuttosto che una serie esplicita di istruzioni che spieghino come si inizia una cellula vitale, proponiamo invece che coloro che sono in sintonia con queste proposte si riuniscano, discutano e lavorino attraverso le seguenti questioni etiche:

  1. Principio del feedback: Forniamo un feedback tale da permettere alle persone coinvolte nella nostra organizzazione di crescere?
  2. Principio di differenza: Ci organizziamo attraverso le differenze? Se no, cosa bisogna fare per rendere il gruppo più risonante con il suo esterno?
  3. Principio critico: La cellula vitale parte dalle nostre percezioni vissute, dalle nostre esperienze di sofferenza in questo mondo?
  4. Principio di multiplicità: La cellula vitale permette alle verità multiple di procedere verso una crescita collettiva?
  5. Principio vitale: Attraverso la nostra cellula, ci troviamo sulla via di una partecipazione più vitale al mondo? La partecipazione alla cellula ci aiuta a crescere nelle nostre capacità? Ci aiuta a superare gli ostacoli su questo cammino?
  6. Principio di finitudine aperta: Promuove il divenire senza porre una figura ideale di crescita? In altre parole, la nostra cellula favorisce una crescita aperta indipendentemente dalla provenienza e senza ricorrere a ideali normativi (di comunismo, archetipi di benessere, ecc.)?
  7. Principio di autonomia: I membri possono partecipare mantenendo la loro autonomia?
  8. Principio rivoluzionario: La cellula vitale mantiene un orientamento rivoluzionario mentre costruisce la potenza immediata?

Quando ad ognuna di queste domande si può rispondere in modo affermativo, allora si è formata una cellula vitale. ( Dal canto suo, AA è in grado di rispondere in modo affermativo a tutti i punti tranne l’ultimo).

Dall’infondatezza e dalla deterritorializzazione dell’attuale ordine mondiale, dobbiamo puntare a niente di meno che un’organizzazione rivoluzionaria mondiale. Mentre il XXI secolo procede senza sosta, dobbiamo considerare come l’organizzazione possa procedere dall’interno delle dinamiche che strutturano il nostro presente, sfruttando le possibilità della nostra epoca per articolare un metodo per produrre legami significativi e consistenze rivoluzionarie. Invocando una riproposizione della cibernetica, questa proposta mira a legare le possibilità strutturali della società di controllo al principio di vitalità: superare la violenza della storia attraverso la crescita della nostra potenza. In questo modo, cerchiamo di muoverci verso un’esistenza liberata in questa vita.

Appendice: Il programma dei Dodici Passi e delle Dodici Tradizioni degli Alcolisti Anonimi

Il programma dei Dodici Passi:

  1. Abbiamo ammesso di essere impotenti per l’alcol, e che le nostre vite erano diventate ingestibili.
  2. Siamo giunti a credere che un potere più grande di noi stessi potesse riportarci alla sanità mentale.
  3. Abbiamo preso la decisione di affidare la nostra volontà e la nostra vita alla cura di Dio quando l’abbiamo compreso.
  4. Abbiamo cercato e realizzato un inventario morale senza paura di noi stessi.
  5. Abbiamo ammesso a Dio, a noi stessi e ad un altro essere umano l’esatta natura dei nostri torti.
  6. Siamo completamente pronti a far rimuovere da Dio tutti questi difetti di carattere.
  7. Gli abbiamo chiesto umilmente di eliminare le nostre mancanze.
  8. Abbiamo fatto un elenco di tutte le persone che avevamo danneggiato e siamo diventati disposti a rimediare a tutte.
  9. Abbiamo fatto ammenda a tali persone ovunque possibile, tranne quando farlo avrebbe danneggiato loro o altri.
  10. Abbiamo continuato a fare un inventario personale e, quando ci siamo sbagliati, lo abbiamo ammesso prontamente.
  11. Abbiamo cercato, attraverso la preghiera e la meditazione, di migliorare il nostro contatto cosciente con Dio mentre lo comprendevamo, pregando solo per la conoscenza della sua volontà per noi e il potere di realizzarla.
  12. Abbiamo avuto un risveglio spirituale come risultato di questi passi, abbiamo cercato di portare questo messaggio agli alcolisti e di praticare questi principi in tutti i nostri affari.

Le Dodici Tradizioni:

  1. Il nostro benessere comune dovrebbe essere la priorità; il recupero personale dipende dall’unità AA.
  2. Ai fini del nostro gruppo esiste solo un’autorità suprema: un Dio amorevole come può esprimersi nella coscienza di gruppo. I nostri leader sono servitori di fiducia; non governano.
  3. L’unico requisito per l’adesione all’AA è il desiderio di smettere di bere.
  4. Ogni gruppo dovrebbe essere autonomo, tranne nelle questioni che riguardano altri gruppi o AA nel suo insieme.
  5. Ogni gruppo ha un solo scopo primario: portare il suo messaggio all’alcolista che ancora soffre.
  6. Un gruppo AA non dovrebbe mai avallare, finanziare o prestare il nome AA a nessuna struttura correlata o impresa esterna, per timore che problemi di denaro, proprietà e prestigio ci allontanino dal nostro scopo principale.
  7. Ogni gruppo AA dovrebbe essere completamente autosufficiente, diminuendo i contributi esterni.
  8. Gli alcolisti anonimi dovrebbero rimanere per sempre non professionisti, ma i nostri centri di assistenza possono impiegare operatori specializzati.
  9. AA, come tale, non dovrebbe mai essere organizzata; ma possiamo creare consigli o commissioni di servizio direttamente responsabili di coloro che servono.
  10. Gli alcolisti anonimi non hanno opinioni su questioni esterne; quindi il nome AA non dovrebbe mai essere coinvolto in polemiche pubbliche.
  11. La nostra politica di pubbliche relazioni si basa sull’attrazione piuttosto che sulla promozione; dobbiamo sempre mantenere l’anonimato personale a livello di stampa, radio e film.
  12. L’anonimato è il fondamento spirituale di tutte le nostre tradizioni, ricordandoci sempre di porre i principi davanti alle personalità.

Photo project: Giulia Salvatore “De Materia Lucis”

Note

1. Empirismo e soggettività. Saggio sulla natura umana secondo Hume, traduzione di Marta Cavazza, Bologna: Cappelli, 1981

2. Gregory Bateson,  Verso un’ecologia della mente, Milano, Adelphi. 1977

3. Vale la pena chiarire che quello che segue non è un saggio sulla sobrietà, né parliamo per gli Alcolisti Anonimi. Non sosteniamo nemmeno che AA abbia un intento politico, né che non sia privo di contraddizioni. Semplicemente, crediamo che la sua organizzazione possa essere un terreno produttivo per pensare a questioni organizzative generali.

4. Alcolisti Anonimi, Il programma dei Dodici Passi e delle Dodici Tradizioni.

5. Louis Kauffman definisce la cibernetica come “lo studio dei sistemi e dei processi che interagiscono con se stessi e si producono da se stessi”. Citato in Andrzej Targowski Cognitive Informatics and Wisdom Development, IGI Global, 2011.

6. Va notato, tuttavia, che il termine cibernetico è caduto in disgrazia. Oggi il pensiero sistemico, le scienze informatiche e i campi correlati attingono alla cibernetica come sua precorritrice, ma raramente la evocano come concetto. Tuttavia, i postulati della cibernetica formano il fondamento di tutto il pensiero sistemico contemporaneo.

7. Michel Foucault, Le parole e le cose, Rizzoli. 1967

8. Jeffrey L. Vagle, “Tightening the OODA Loop: Police Militarization, Race, and Algorithmic Surveillance” in Michigan Journal of Race & Law 22 (1), 2016, 101-138.

9. OECD. Data-Driven Innovation: Big Data for Growth and Well-Being. OECD Publishing, 2015.

10. Adam Curtis, All Watched Over By Machines of Loving Grace, BBC.

11. Gilles Deleuze, Poscritto sulle società di controllo, in Pourparler, Quodlibet 2000

12.Tiqqun, L’Ipotesi Cibernetica.

13. Irmgard Emmelhainz, “Authoritarianism and the Cybernetic Episteme, or the Progressive Disappearance of Everything on Earth,” eFlux (122).

14. Coloro che si aggrappano a questo potere – la sinistra odierna – sono diventati meno che un anacronismo; è diventato un metodo per coloro che continuano ad essere associati al modo di produzione scaduto per mantenere una parvenza di potere. Aggrappandosi a questi spettri, la sinistra contribuisce solo alla controinsurrezione.

15. Paul Torino & Adrian Wohlleben, “Meme con la forza – lezioni dai gilet gialli”  pdf online qui.

16. Deleuze, “Postscritto…” cfr. n.11

17. Potrebbe essere possibile vedere dei paralleli tra il progetto delle cellule vitali e il lavoro di Hardt e Negri. Sono quindi necessarie alcune precisazioni. Siamo d’accordo con l’appello di Hardt e Negri a orientare la lotta sul terreno della società del controllo. Intendiamo anche l’Impero come un sistema mondiale globale che supera la sovranità di particolari stati-nazione (che tuttavia oggi possono essere sottoposti a un processo di frammentazione). Il nostro progetto, tuttavia, differisce in aspetti chiave. In primo luogo, Hardt e Negri mantengono una visione costituente della politica – che la creazione di regimi flessibili di lavoro e la connettività offerta da internet sta producendo una nuova soggettività politica, la moltitudine, che a sua volta potrebbe un giorno realizzare una “democrazia su scala globale” (Multitudine XI). Sebbene Hardt e Negri insistano sulla necessità di un “esilio” dall’Impero, per loro questa defezione iniziale è una tappa preliminare verso una ricomposizione delle istituzioni della democrazia su scala globale. Per noi, tende invece verso un processo di frammentazione positiva. Vedi Michael Hardt e Antonio Negri, Impero. Il nuovo ordine della globalizzazione, Milano, Rizzoli, 2002

18. Il termine cellula vitale può evocare immagini di gruppi militanti del 20esimo secolo. Tali gruppi, tuttavia, sono caratterizzati da cellule decentralizzate che rispondono agli imperativi di un comando centrale. Il modello distribuito delle cellule vitali fa a meno del comando centrale pur mantenendo la struttura cellulare.

19. Manuel Delanda, Assemblage Theory, Edinburgh University Press, 2016, 10.

20. Al contrario, se un pezzo o un insieme di pezzi arriva a dominare e a imporre l’identificazione/sottomissione sugli altri, questo processo può essere chiamato “sovracodifica” e segna una transizione da relazioni di relativa esteriorità verso relazioni di interiorità. In effetti, ogni sistema produce una proprietà internalizzante – cioè prendere le relazioni di esteriorità e renderle proprietà durature di un sistema fisso. C’è dunque una tensione tra le forze sistemiche e la produzione di un resto, o di ciò che sfugge alla cattura sistemica.

21. Alexander Galloway, Protocol: How Control Exists after Decentralization, The MIT Press, 2004

22. Vale la pena notare che mentre dovremmo promuovere l’unità del gruppo, dovremmo anche riconoscere che la scissione quando sorgono argomenti ideologici o pratici può essere produttiva. Pensiamo soprattutto in termini di una “deriva liberale” in cui i gruppi che inizialmente sono impegnati nella rivoluzione possono moderarsi col tempo. Mantenere questi gruppi nella nostra orbita, pur consentendo ai radicali la possibilità di mantenere la coerenza rivoluzionaria, può forse essere un mezzo per mitigare la nocività della tendenza liberalizzatrice

23. Traiamo il nostro concetto di critica da Foucault che descrive il compito critico come segue: “E se la governamentalizzazione è effettivamente questo movimento attraverso il quale gli individui sono sottomessi nella realtà di una pratica sociale attraverso meccanismi di potere che aderiscono alla verità, beh, allora! Dirò che la critica è il movimento attraverso il quale il soggetto si dà il diritto di interrogare la verità sui suoi effetti di potere e di interrogare il potere sui suoi discorsi di verità. Ebbene, allora: la critica sarà l’arte dell’insubordinazione volontaria, quella dell’intrattabilità riflessa. La critica assicurerebbe essenzialmente la desubordinazione del soggetto nell’ambito di ciò che potremmo chiamare, in una parola, la politica della verità“. Michel Foucault, The Politics of Truth, Semiotext(e), 2007, 47.

24. La seguente citazione di Baeden è rappresentativa di questa tendenza, che pone correttamente l’abolizione dell’identità ma non offre alcun mezzo per realizzarla al di là della pura negazione: “Portiamo questa critica oltre, situando il Sé accanto allo Stato, alla merce, alla famiglia e al genere come una forma fondamentale del capitale e di conseguenza un terreno in cui combattere e un limite da distruggere. Da qui in poi, non possiamo permetterci di limitarci a una visione di condivisione illimitata tra Sé coerenti. Tale mantenimento delle forme atomizzate, indipendentemente da ciò che si trattiene tra di esse, è solo un rimodellamento della miseria. Piuttosto, è necessario impegnarsi immediatamente nel sabotaggio del Sé, il colpo contro la soggettività. Ciò che mi separa da te, ciò che mi forma e costituisce la mia interezza deve essere messo in discussione e disfatto. Al di là dell’ovvio bisogno di distruggere il mio genere, la mia razza, la mia posizione di classe, c’è il bisogno più vitale di lottare contro la mia immagine, le mie tecnologie del sé, la mia singolare debolezza.” Anonimo, “Identity in Crisis,” in Baeden Journal of Queer Nihilism (Vol. 1). Per un esempio più recente vedi Alyson Escalante, “Gender Nihilism: An Anti-Manifesto,” 2015, online qui. Per una valutazione critica di questa tendenza, K. Aarons, “No Selves to Abolish: Afropessimism, Anti-Politics, and the End of the World,” Mute Magazine, 2016. Online qui.

25. The Chicago Women’s Liberation Union, “How to Start Your Own Consciousness-Raising Group,” 1971.

26. Per maggiori informazioni sul Tekmil, vedi l’opuscolo guida Care Is Defense (online qui) e il panel recente di Kurdistan Solidarity Network online qui.

27. Le critiche femministe di AA hanno indicato la resa come un concetto patriarcale progettato da e per uomini bianchi. Le femministe del programma hanno risposto a queste e altre critiche. Da parte nostra, le cellule vitali mirano specificamente a combattere il sessismo e altri squilibri di potere attraverso il feedback critico e la disciplina. Vedi Amy Gutman, “No, Alcoholics Anonymous Is Not ‘Ill-Suited to Women,’” The Atlantic, 2013, e Jelene M. Sanders, Women in Alcohlic’s Anonymous: Recovery and Empowerment, First Forum Press, 2009.

28. Nicholas Thoburn. “Weathermen, the Militant Diagram, and the Problem of Political Passion,” in New Formations (68), 125-142. Online qui.

29. Per esempio, quando riflettiamo sui fallimenti delle “zone autonome” durante la rivolta di George Floyd, forse il problema non è stato (come a volte viene suggerito) che i gesti in sé erano sbagliati, è che non siamo ancora capaci di occupare con successo un territorio liberato.

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