Originale inglese sul sito Metamute. Traduzione a cura di Porfido.
Gli Stati Uniti quest’anno hanno visto alcune delle più ampie rivolte e proteste nella sua storia – tra le più recenti la Walter Wallace Rebellion a Philadeplphia – in risposta ai continui omicidi polizieschi di persone afrodiscendenti. Tuttavia, è stata rivolta poca attenzione alle innovazioni nella lotta specifiche di queste rivolte logistiche. Shemon e Arturo offrono un’altra prospettiva al fenomeno del saccheggio di automobili e sostengono che questa tattica sia inseparabile dalla black liberation.
Vetri in frantumi. Larghe nubi di fumo nero e denso si spandono da un’auto della polizia in fiamme, ferma nella 52esima strada. Un altro nero freddato dalla polizia. Un’altra ribellione in difesa della minima dignità umana. “Sir, è il caos!”, urla uno degli ufficiali nella sua radio mentre battono in ritirata sotto una raffica di pietre, bottiglie, mattoni. “Smettetela di tirare roba”, urla nel megafono un uomo nero più anziano, ma la gioventù militante nera continua indefessa a scagliare proiettili. La polizia, in uno svantaggio numerico dell’ordine delle centinaia, può solo stare a guardare da una distanza di sicurezza mentre una folla comincia a saccheggiare i negozi lungo l’avenue. Gli sbirri si limitano quindi a bloccare gli incroci principali.
Un’auto, ferma nel traffico e in attesa che il semaforo rosso torni verde, infrange quel poco che resta della legge e sfreccia via. Il tempo e la velocità qui non obbediscono al rosso-giallo-verde. Questo non è un traffico qualunque. È il traffico della black liberation, nel quale il saccheggio di auto è l’arte sviluppata in risposta all’omicidio di Walter Wallace Jr. per mano della polizia di Philadelphia.
Ad un tratto un gruppo di teenager neri salta fuori da una macchina e cammina lungo la carreggiata, verso una destinazione sconosciuta. Le volanti degli sbirri li superano sfrecciando, in un panico di sirene, le luci blu e rosse lampeggianti nel buio, probabilmente correndo verso un’altra chiamata al 9-11 per razzie in una farmacia, in un Footlocker, in un alimentari o un negozio di liquori altrove. Sul lato opposto della strada, un distributore di benzina è pieno di giovani neri che vanno e vengono, mentre nascono le discussioni, la musica a tutto volume. In parte un festival musicale, in parte un pitstop, in parte un consiglio proletario dei nostri giorni in cui i giovani discutono “che fare”.
Quel che è successo a Ferguson come pratica improvvisata, a Philadelphia è evoluto in un’arte: l’arte di saccheggiare in auto. Negli Stati Uniti, i proletari neri rifiniscono e affinano costantemente le forme, le tattiche e le strategie della lotta.
Nei registri ufficiali, queste attività saranno segnalate come crimini. Joe Biden ha già dato le sue dichiarazioni per i posteri. Biden, come tutti i politicanti, sbava la grande menzogna della nostra società: i rivoltosi neri sono criminali. Le rivolte non hanno nulla a che fare con la politica. Ma non si potrebbe essere più lontani dal vero. I rivoltosi neri sono gli inventori di nuove forme di lotta, nuove prospettive di liberazione e nuove tipologie di organizzazione rivoluzionaria. I traguardi della rivolta di Philadelphia sono stati potenti, liberatori e semplicemente meravigliosi. Mentre gli opinionisti sperano di denigrare le rivolte come apolitiche o criminali, sono le attività rivoluzionarie del proletariato nero che costituiscono la forma in atto di politica che riporta il cambiamento negli orizzonti.
Ignorare le sollevazioni
Il grosso della gente che prende sul serio le sollevazioni è composto dalla destra e da un piccolo settore dell’ultrasinistra. Per i liberali e i moderati la dimensione insurrezionale delle sollevazioni a malapena esiste, dal momento che il 93% delle proteste sono state battezzate come pacifiche. Attraverso questo gioco di prestigio statistico, il liberalismo si trasforma in un alleato dei neri, identificando Black Lives Matter con una rispettabile, pacifica protesta legale, ignorando nel frattempo il rimanente 7% delle proteste violente, vale a dire delle rivolte vere e proprie. Persino i socialisti hanno ricacciato le loro teste nella sabbia quando si è arrivati a discutere delle implicazioni tattiche e strategiche della sollevazione. Tutti condannano il razzismo e la brutalità poliziesca, ma con tutti i suoi appelli alla solidarietà con la black liberation, la sinistra si è ritrovata miserabilmente a corto di numeri quando si trattava di partecipare realmente negli scontri che hanno attraversato questo paese. Nel migliore dei casi, la maggioranza di essa si astiene in blocco dai gli aspetti insurrezionali delle sollevazioni; nel peggiore, li parassita opportunisticamente con il fine di costruire le sue organizzazioni specifiche, brand e carriere. Nel frattempo, i proletari neri vengono arrestati e mettono i loro corpi in bilico in una battaglia per la vita o per la morte.
A questo punto dell’evoluzione della lotta, qualunque gruppo che dichiari solidarietà con la black liberation, ma che non si sia battuto contro gli sbirri e che non abbia lottato nelle strade, o che non abbia anche soltanto provveduto e dato sostegno a queste attività, è da considerare irrilevante. Non ci sono scuse. Abbiamo incontrato donne, bambini, genitori, anziani, persone senza documenti, persone in sedia a rotelle, persone sulle stampelle, di tutti i possibili generi, abilità e etnie immaginabili, tutti coinvolti in una maniera o nell’altra in queste rivolte di strada. Per chi si scontra con la polizia, il tempo per le parole e i post sui social è scaduto. Questo tipo di antirazzismo e solidarietà simbolici – che sono stati il pane quotidiano dei liberali e della sinistra per decenni, si è palesato per la buffonata che è realmente. La solidarietà con i movimenti chiede di rischiare la pelle. Non si stanno facendo astrazioni: questo è esattamente quello che i proletari neri stanno facendo.
E non è soltanto la sinistra bianca, asiatica, indigena o latina ad ignorare gli aspetti più dinamici e militanti di questa sollevazione: sono anche i principali intellettuali e radicali neri dei nostri giorni. Questo non dovrebbe sorprendere, dal momento che una spaccatura simile si era creata nella Seconda Internazionale durante la Prima Guerra Mondiale, e ancora nelle lotte di liberazione nazionale durante e dopo la Seconda.
Nonostante tutta la retorica radicale del marxismo, in termini di gesti e pratiche concrete, la maggior parte della sinistra radicale si è adeguata allo status quo. Si è esteso il ricorso alla legge in risposta ai conflitti di classe e alle lotte antirazziste al punto che possono essere intraprese molte forme incruente di attivismo, ma queste poi si rivelano essere semplicemente delle nuove prigioni per gli attivisti e per i movimenti. Le generazioni passate e hanno vinto vittorie e allargato la legge così che oggi possiamo in sicurezza denunciare le guerre, marciare praticamente ovunque vogliamo e dire quel che vogliamo. Questo ventaglio di legalità sembra una vittoria, ma è diventata anche una trappola che la sinistra impugna come una posizione di principio. Il punto della questione è che le organizzazioni di sinistra non sono semplicemente preparate a fare i conti con la natura illegale delle lotte e delle politiche rivoluzionarie che si realizzano in questo momento. Il proletariato nero continua a mostrare un coinvolgimento pratico nel combattere la polizia, gettare alle fiamme le infrastrutture carcerarie e saccheggiare le merci di questo sistema capitalista morente. Essendo queste le tattiche del proletariato attivo, che tipo di forme organizzative ha più senso?
Una lucidità organizzativa, tattica e strategica sta emergendo ora per la prima volta dagli anni Sessanta, ma non viene dalla sinistra: viene dalle iniziative pratiche e dalle strategie del proletariato nero. I sinistroidi continuano a cianciare su questioni organizzative in termini astratti e antiquati, rigurgitando una formula ritrita modellata sulla Russia o la Cina che è stata ripetuta fino al vomito per decenni ormai, ma che non ha prodotto altro che sette e culti. Ignorano le forme concrete dell’organizzazione rivoluzionaria già concretizzate nelle sollevazioni.
Le strategie rivoluzionarie non sono costruite in astratto, ma sono l’espressione delle tattiche reali e delle sfide strategiche sollevate dal proletariato nella lotta di classe. La domanda organizzativa fondamentale che i rivoluzionari hanno davanti è come contribuire e come rapportarsi alla sollevazione, nella fattispecie in termini di scontro urbano, saccheggio e altre tattiche di rivolta. Chi veramente si impegna nella rivoluzione deve andare oltre rispetto alle stantie forme di organizzazione del passato e iniziare a prendere sul serio le forme organizzative variegate, illegali e creative che il proletariato sta sviluppando nel presente, delle quali l’uso delle auto è uno degli strumenti più innovativi in questo repertorio tattico emergente.
Non può certo essere stato un fatto completamente spontaneo che i proletari neri siano andati da WallMart, lo abbiamo saccheggiato e quando gli sbirri sono arrivati, siano scappati formando carovane dirette ad altri distretti commerciali della città. Il grosso della prognosi ufficiale di questi giorni vedrebbe gli insorti come disorganizzati, senza una direzione e una leadership. In verità c’è un ampio livello di coordinazione e organizzazione nel maelstrom dello scontro. Questo dovrebbe essere ovvio quando carovane di saccheggiatori migrano verso luoghi specifici nello stesso momento. Per farlo, le persone coinvolte discutono collettivamente i bersagli specifici, coordinano i movimenti verso l’area bersaglio e spesso stabiliscono vedette che avvertano gli altri dell’arrivo della polizia.

Nuove dinamiche, nuove divisioni
Le organizzazioni si giustificano nella battaglia del conflitto di classe, spesso per fini puntuali. Nel caso di Philadelphia, ogni organizzazione ha dovuto fare i conti con le dinamiche dei piedi e delle ruote. Gran parte della gente ha distrutto gli immobili e razziato i negozi mentre marciava nelle strade, e quando sono arrivati gli sbirri, li ha combattuti e respinti a piedi. Ma dal momento che lo Stato si è fatto sempre più preparato allo scontro, le battaglie prolungate con la polizia si sono fatte più costose, ed è diventato più difficile continuarle da appiedati. Lo abbiamo potuto osservare per la prima volta a Chicago dopo l’omicidio di Latrell Allen, dove una carovana di auto ha saccheggiato il Magnificent Mile, e da lì si è dispersa nella città. Questa tendenza è proseguita a Louisville con le Breonna Taylor protests a fine settembre, dove la preparazione dello Stato ha reso una sollevazione nella città praticamente impossibile. In risposta le persone accorse hanno preso delle auto e hanno esteso geograficamente gli scontri saccheggiando dei negozi attraverso tutta la città. Questa è stata un’ottima innovazione tattica e, alla fine dei conti, strategica per fronteggiare la bruta forza dello Stato.
Il saccheggio in auto ha dei palesi vantaggi rispetto al saccheggio a piedi. Si riducono gli effetti del pompieraggio [peace policing] dal momento che non si dà una chiara associazione con una geografia specifica o (ma è spesso quasi un sinonimo) con una specifica razzializzazione. L’aspetto più importante del saccheggio in auto, tuttavia, è che disperde e sfibra le forze di polizia. Questa strategia inoltre crea una dinamica in cui chi è a piedi può trovarsi in zone di fatto senza polizia, libero di far baldoria per lunghi periodi di tempo, visto che la polizia è troppo impegnata altrove a contrastare le carovane di saccheggiatori. Questo è quello che è successo a Philadelphia. La sinergia tra chi era a piedi e chi era in auto crea una geografia alternativa e una dinamica di lotta nella quale le volanti della polizia corrono da un negozio all’altro nel tentativo di fermare le bande erranti di saccheggiatori in auto, mentre gli appiedati attirano le risorse della polizia in direzioni diverse. Ci sono in parole povere troppi insorti in posti diversi e troppa poca polizia.
Il saccheggio in auto è un progresso strategico, ma l’auto non è certo il mezzo perfetto. La targa è un enorme rischio. La polizia può, premendo qualche tasto, usare la tua targa per cercare il tuo indirizzo e bussarti alla porta. Ciò presenta certamente dei rischi, ma è importante sottolineare che molti proletari stanno comunque cercando delle modalità per saccheggiare in auto e non venire beccati. Oltre ai pericoli che vengono dall’avere una targa, scappare dalla polizia in auto è spesso più pericoloso e venire arrestati dopo un inseguimento ad alta velocità può risolversi in periodi di galera più lunghi.
Oltre ai rischi per la sicurezza, il secondo problema è che bisogna averla un’auto, in primo luogo, o almeno si deve conoscere qualcuno che ce l’ha. Se avere un’auto è molto diffuso negli Stati Uniti, resta dipendente dalla razzializzazione e dalla classe. Stando a uno studio dell’Università della California, “gli afroamericani detengono la più bassa percentuale di possesso di autovetture di tutti i gruppi razzializzati ed etnici del paese”, sostengono i ricercatori, “dei quali il 19% abita in domicili in cui nessuno possiede un’auto. Si confronti ciò con il 4.6% di caucasici in domicili senza auto, il 13.7% dei latini e il 9.6% complessivo dei gruppi rimanenti”. Per quanto non avere una propria auto probabilmente non è una barriera totale, prendere nota dell’inegualità nel possesso di auto resta importante. Allo stesso tempo, il fatto che il saccheggio in auto sia stato per ora quasi esclusivamente nero dimostra la determinazione dei proletari neri nell’uso delle auto nelle sollevazioni.
La terza criticità consiste nel fatto che l’auto atomizza la lotta, nel momento in cui ogni auto diviene un’unità a sé. Se per certi versi l’auto socializza piccole unità di insorti, lo fa in una maniera molto diversa rispetto al saccheggio a piedi. Ogni auto è fortezza a sé stante. Non è sempre chiaro se gli esseri umani si stiano relazionando direttamente gli uni con gli altri o se è l’auto in quanto merce che emerge come soggetto. Questa maschera subito si squarcia nella foga delle portiere che si aprono, con i saccheggiatori che salgono e scendono. Dall’esterno, tuttavia, il saccheggio in auto può essere decisamente misterioso. Conducenti e passeggeri possono nascondersi dietro vetri oscurati e può diventare difficile interagire con loro. Unirsi a una carovana a caso può destare sospetti, soprattutto se la carovana è composta da amici che già si conoscono. Le facce nuove, giustamente, insospettiscono. Tutto ciò differisce largamente dal saccheggio a piedi, dove è più tangibile un’atmosfera sociale e collettiva. Il saccheggio in auto, tuttavia, resta pressoché impossibile da realizzare individualmente, e ciò richiede una propria forma di socialità.
Se le iniziali divisioni della sollevazione erano tra protesta legale e illegale, nonviolenta e violenta, tra manifestanti buoni e cattivi, è chiaro ormai che è emersa una nuova divisione: scarpe contro ruote. Tuttavia, questo discrimine non è un ostacolo alla lotta. Diversamente dalle precedenti differenziazioni, che riflettevano le differenze di classe e di razza interne al movimento, questa scaturisce direttamente dall’andirivieni tattico tra la polizia e il proletariato nero. Questa divisione organica nasce in risposta alle manovre della polizia e così riflette innovazione e creatività, invece che isolamento e contro-insurrezione.
Nuove geografie della lotta
Comprendere il saccheggio in auto significa scorgere le trasformazioni della geografia della lotta. La dimensione delle città può darci un primo punto di riferimento. Philadelphia si estende su 347 chilometri quadrati e Louisville su 841. Per metterlo in prospettiva, New York City ne misura 782 e Oakland 202. Questi dati ci danno un’idea dei confini con cui abbiamo a che fare, ma se vogliamo afferrare pienamente le dimensioni geografiche di una città, occorre sottolineare che vi sono particolari infrastrutture, densità e dinamiche sociali che determinano il motivo per il quale il saccheggio in auto avvenga lì e non altrove. A New York City, per esempio, il saccheggio in auto non fu un fenomeno di massa. Perché il saccheggio in auto si è verificato a Chicago, Louisville e a Philadelphia, ma non a NYC? Il basso tasso di chi possiede un’auto (circa il 50%), l’alta concentrazione di negozi al dettaglio e abitanti, associato a un sistema di metropolitane esteso, contribuiscono ad ostacolare l’utilizzo di auto nei saccheggi. Con ciò non si intende dire che non ci sia stato qualche saccheggio in auto, ma solo che non è stato l’elemento decisivo della ribellione di NYC, mentre in città come Louisville e Philadelphia le auto sono diventate le componenti principali della sollevazione. Inoltre, se la fase iniziale della sollevazione di quest’estate si è concentrata sui settori più ricchi della città, nell’autunno il proletariato ha abbandonato Market Street a Philadelphia e Jefferson Square Park a Louisville, diffondendo attraverso l’automobile la ribellione per tutta la città. Invece di fissarsi su un territorio come gli attivisti tendono a fare, chi ha partecipato a un saccheggio in auto ha sfruttato la vastità dello spazio urbano per creare un nuovo territorio di lotta. Ciò è parte di un’evoluzione qualitativa nella lotta di classe su cui ancora si deve riflettere e che va riconosciuta.
Un secolo fa furono le fabbriche a puntellare il terreno della lotta di classe; oggi sono i distretti commerciali, i negozi di telefonia, la CVS [catena di farmacie, n.d.T.] e gli Apple store a rivelare la nuova geografia della lotta. Lo scontro di piazza e il saccheggio sono un riflesso dei tratti che il capitale assume oggi: ricchezza nella forma di merci concentrate in quartieri nevralgici, spesso diffusi geograficamente lungo le città. Sebbene queste merci non siano mezzi di produzione, in ogni modo rappresentano certamente un ampio serbatoio di ricchezza in attesa di proletari che lo esproprino. Il saccheggio a Walmart ne è un esempio eccellente. Il capitale ha raccolto qui un largo assemblaggio di merci che normalmente i proletari dovrebbero pagare. Gli espropri al Walmart nella notte del 27 ottobre sono state la reazione di persone costrette a vivere e lavorare in questa iperconcentrazione di merci. Nonostante non siano disponibili dati precisi sul tipo di lavoro che svolgono questi proletari, un’ipotesi plausibile è che, nel caso abbiano un lavoro, sia in settori occupazionali a basso reddito e a basso potere di sciopero. Invece di contestare i saccheggiatori, dunque, avrebbe più senso domandarsi come mai i proletari negli Stati Uniti saccheggino più di quanto scioperino.
Armi ed etica
Abbiamo visto esponenti della destra usare le auto per attaccare i manifestanti. Il pick-up e la berlina dei sostenitori di Trump sono diventate armi per intimidire, ferire e uccidere i manifestanti di BLM. In risposta, molti attivisti hanno formato delle brigate automunite per attorniare le manifestazioni e bloccare gli speronamenti in auto della destra. Per quanto questo sia un importante salto in avanti, un altro sviluppo colpevolmente taciuto è stato il progressivo utilizzo di auto nei saccheggi. Questa svolta nella tattica solleva domande più generali sugli strumenti che utilizziamo, su come li usiamo e come questi strumenti si rapportino alla liberazione.
Riflettendo sull’utilizzo di armi nel suo recente testo “Armi ed Etica”, Adrian Wohlleben sostiene che le armi che adottiamo e il modo in cui le impugniamo impatta potentemente sulle nostre lotte. Dovremmo sintonizzarci sul modo in cui specifiche armi possano aumentare la potenza collettiva e la partecipazione di massa, mentre altre potrebbero limitarle. Wohlleben getta una secchiata d’acqua fredda su ogni romanticismo sulle armi da fuoco e, parimenti importante, ci spinge a riflettere su quanto queste trasformino il terreno della lotta. E quel che più conta, Wohlleben dimostra la volontà di mantenere il movimento su una base al contempo di massa e militante. Weapons and Ethics ci domanda: “In che modo il nostro uso delle armi lavora alle nostre spalle nel definire il significato e i limiti della nostra potenza? In che modo questa scelta influenza e seleziona chi si sente in grado di unirsi a noi, e persino il modo in cui pensiamo una ‘vittoria’? Come possiamo rendere questa scelta esplicita a noi stessi?” Per quanto ci sia molto su cui ci troviamo d’accordo, potremmo criticare Wohlleben per non maneggiare precisamente la storia di come le armi da fuoco siano state utilizzate per la black liberation. Per quanto fare una simile analisi non fosse l’obiettivo di Wohlleben, nel contesto della sollevazione di George Floyd, e di una possibile guerra civile, è un compito al quale dobbiamo dedicare la nostra attenzione. E come per le armi da fuoco, c’è un’etica intorno alle auto, ma radicalmente diversa. Come si incastrano le domande di Wohlleben con l’uso di auto nella black liberation?
Tendenzialmente non pensiamo alle auto come armi, ma lo sono state per parecchio tempo. L’autobomba è stata usata per decenni. Considerando quanto le auto siano diffuse in questo paese, non è inconcepibile che saranno usate in questo modo quando la lotta si intensificherà. Sebbene abbiamo visto gli sbirri e la destra utilizzare le auto contro i manifestanti BLM, ci sono stati anche parecchi incidenti a Philadelphia nei quali le auto sono state usate come armi contro la polizia durante le rivolte. La polizia è stata attaccata con delle auto durante la Walter Wallace Rebellion, durante la George Floyd Uprising a maggio e anche a NYC.
Dopo le armi da fuoco, le auto sono forse il prodotto più americano. La storia stessa delle origini dell’automobile è inscindibile da quella dell’emergere degli Stati Uniti come potenza industriale e globale. E per quanto molti a sinistra critichino l’auto come una macchina devastatrice del clima, c’è una storia alternativa dell’auto a cui dovremmo prestare attenzione. L’auto, comunemente concepita come una dei simboli definitivi del capitalismo americano, è stata capovolta, e riconvertita in un’arma nella black liberation.

Da Ferguson a Philly
L’utilizzo di auto per la black liberation non è nuovo. Il boicottaggio del Montgomery Bus nel 1955-56 è forse l’esempio più celebre. Degli attivisti dei diritti civili, in particolare donne nere che lavoravano come domestiche, organizzarono un sistema di trasporto pubblico alternativo basato sull’auto in modo tale da boicottare la segregazione degli autobus a Montgomery, Alabama. Questa storia ci dà preziose lezioni per il momento attuale, soprattutto per quel che concerne la questione della riproduzione sociale. Questo movimento fu una sfida su larga scala alla supremazia bianca. Tuttavia le auto non vennero usate come armi come vengono usate oggi. La maniera in cui vengono attualmente impiegate nelle rivolte riflette un’escalation nella lotta di classe. Se poniamo Ferguson come punto d’inizio, vediamo che le auto sono usate come veicoli per la fuga, come barriere per creare zone libere dalla polizia, e come scudi per sparare agli sbirri. Ma le auto a Ferguson non vennero usate nei saccheggi. La sollevazione di Ferguson non si diffuse geograficamente in risposta alla polizia; al contrario, vennero difesi alcuni spazi intorno ad alcuni siti di Ferguson, su tutti il QT [QuickTrip, una stazione di servizio, n.d.T.], Canfield [la strada lungo la quale venne ucciso Michael Brown, n.d.T.] e West Florissant [area della città che prende il nome dall’omonima avenue, in corso di riqualificazione urbana, n.d.T.]. Se le confrontiamocon quelle degli anni 2010, le rivolte in corso attestano un salto di grado in intensità e un’espansione geografica. La carovana di saccheggiatori ne è probabilmente il miglior esempio.
Decine di mostri tracannatori di benzina che ruggiscono giù in strada, gomme che latrano, vetri oscurati – questa è la carovana della black liberation. Questo fenomeno è un aspetto importante dell’ondata che avanza di lotte di massa. Può essere letto attraverso la cornice offerta dal grande testo di Rosa Luxemburg Lo sciopero spontaneo di massa. Mentre oggi molti comunisti concordano con la Luxemburg, ai suoi tempi fu una tesi controversa. Luxemburg mise in discussione l’idea ampiamente diffusa nella Seconda Internazionale sul modo in cui il socialismo si sarebbe realizzato: una pacifica evoluzione vinta con il voto. Lei invece dimostrò come le ondate di sciopero nell’Europa orientale fossero la chiave per il socialismo. Per quanto sia puerile affermare che basti il saccheggio in auto per portarci al comunismo/anarchia, è pur sempre una risposta del proletariato nero a una verità di sviluppi tattici, strategici e politico-economici ai giorni nostri. Come questa strategia si colleghi al comunismo non è del tutto chiaro, ma è comunistica nel senso della sua natura di massa e nel suo attacco alla forma della merce.
Quel che abbiamo visto da Ferguson a Philadelphia è il crescente utilizzo di auto come armi di lotta di massa. A Ferguson le auto vennero usate a scopi difensivi, mentre a Chicago, Louisville, Philadelphia e altrove per scopi offensivi: per il saccheggio, per attaccare la polizia, e per estendere la geografia della sollevazione. Dovremmo aspettarci che le auto continueranno a giocare un ruolo importante nel dispiegarsi delle rivolte e nel potenziale trasformarsi delle sollevazioni in altre forme di lotta di massa: blocchi, scioperi e occupazioni. Senza dubbio lo Stato risponderà con nuove forme di sorveglianza e repressione, ma come lo farà non è chiaro. Fino ad allora, i proletari neri probabilmente trarranno un vantaggio dall’incapacità statale di fare i conti con saccheggi in auto diffusi.
Conclusione
Nel corso dell’estate i compagni e Crimethinc hanno pubblicato un testo entusiasmante, “Strumenti e tattiche durante le proteste di Portland”, che mostra la creatività e il dinamismo delle proteste di Portland. Ogni mossa degli Agenti Federali ha costretto i manifestanti a sviluppare contromosse, a creare una dinamica di avanzamento e ritirata che contraddistingue il pulsare tattico di ogni lotta di massa. Mentre le tattiche di strada delle proteste di Portland sono familiari a molte persone nel paese, trovare un senso al saccheggio in auto è ben più difficile se non si fa parte delle carovane di saccheggiatori. Ma nulla dell’oscurità del saccheggio in auto deve impedirci riconoscere che le auto sono inscindibili da una strategia della black liberation. Per quanto possa essere difficile costruire dei legami con carovane di auto, resta una forma nascente di lotta di massa dove molte delle divisioni della nostra società possono essere infrante se i proletari non-neri trovassero un modo per parteciparvi.