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Una vita illogica

Simone LeMarteu e Nada Lestrigon

“L’unico modo per conoscere la morte è amare la vita.”

A.M. Bonanno

“La joie n’a pas besoin des justification.”

E. M. Cioran

Il 6 dicembre 2023 è morto nella sua casa di Trieste Alfredo Maria Bonanno. Nato a Catania, in Sicilia, classe 1937, è stato un compagno anarchico, filosofo e rapinatore, teorico e agitatore, editore, scrittore e infaticabile traduttore. Tra i suoi studi, oltre i classici dell’anarchismo, Hegel, Nietzsche, Stirner ma anche Baudelaire, Paul-Henry Thiry d’Holbach e Machiavelli.

Con tutti i nostri limiti, cercheremo in questo articolo di fare, en passant, un parziale tentativo per spiegare la sua figura, la sua storia.

Sul finire degli anni sessanta, come in tutto il mondo, anche l’Italia viene investita da un sussulto libertario che sconquassa tutti i gangli della società. Il “più grande partito comunista d’occidente” intanto cominciava a trasformarsi in “partito dello Stato dentro la classe operaia” tentando di recuperare attraverso il sindacato le forme di autorganizzazione autonoma delle lotte operaie. Inizia la strategia del “compromesso storico” con la Democrazia Cristiana, partito mafioso e corrotto al potere da trent’anni; quindi la “politica dei sacrifici e dell’austerità”, ovvero, sistematica concertazione subalterna al padronato. Chi non si sarebbe allineato all’interno del paradigma istituzionale sarebbe stato di seguito emarginato, criminalizzato e represso. Per dare appena alcune cifre: saranno circa quattromila gli inquisiti e i condannati per “banda armata”, “associazione sovversiva” o comunque “fatti legati a tentativi di sovversione dell’ordine costituzionale”; ben oltre ventimila le persone denunciate; per il Ministero degli Interni quelli dell’ «area sociale sovversiva » vennero stimati aldilà dei centomila.

Alfredo comincia la sua militanza già negli anni ’60 del novecento nelle fila del movimento anarchico siciliano e, dopo aver lavorato come dirigente per un’industria e aver lavorato per una decina di anni come impiegato di banca, prende parte alle lotte di quegli anni. In quel momento storico, dentro un contesto sociale di forti rivendicazioni salariali, di lotte operaie e per i diritti sociali, si sviluppò un eccezionale effervescenza proletaria, un’insubordinazione diffusa, dando vita ad una rivolta che per dimensione, profondità sociale, estensione temporale e geografica ne avrebbe fatto l’ondata rivoluzionaria più significativo dell’Europa occidentale dal ‘45 ad oggi.

La risposta del Potere non si fece attendere. Prima con i tentativi di golpe fascista appoggiati da alcuni apparati dei servizi segreti ed organizzazioni paramilitari come la Gladio, poi con l’uso sistematico del terrorismo di Stato con l’uccisione dell’anarchico Pinelli gettato dalla finestra di una questura, le bombe di piazza Fontana a Milano, quelle di Brescia e della stazione di Bologna. 

Ai funerali di Pinelli parteciparono qualche centinaio di persone tra cui personalità di una certa autorevolezza intellettuale come Vittorio Sereni, Franco Fortini, Marco Forti, Giovanni Ramponi, Giorgio Cesarano, Luigi Manconi, oltre ad assistenti dell’università Cattolica di Milano, molti anarchici tra cui lo stesso Bonanno. Quest’ultimo pubblicò nel 1998 un opuscolo dal titolo “Io so chi ha ucciso il commissario Calabresi”, in riferimento all’uccisione nel 1972 del commissario di polizia addidato da gran parte del movimento anarchico e rivoluzionario come autore del defenestramento del Pinelli. Ebbene, in questo scritto si sostiene che ai funerali del Pinelli venne fuori un’idea di giustizia che prima non c’era, un desiderio condiviso di vendetta. Inoltre la mancanza di rivendicazioni, l’assenza di sigle che rivendicarono quest’atto, fece sì che questa azione anonima e vendicatrice fosse intelleggibile e chiarissima a tutti.

In quest’epoca l’Italia vive da una parte un presunto “boom economico”per alcuni settori del ceto medio e della borghesia, dall’altra “crisi” economiche e forti scosse sociali. È in questo frangente storico che Alfredo mette in piedi le “Edizioni Anarchismo” e partecipa al dibattito scrivendo su giornali come “Sinistra Libertaria” e creando la rivista “Anarchismo” (1975-1994).

Per tutto il decennio degli anni settanta del secolo scorso il dibattito all’interno delle organizzazioni della sinistra extraparlamentare fu incentrato non tanto sull’uso o meno della violenza rivoluzionaria ma piuttosto sul come e quando utilizzarla. Dagli scioperi selvaggi alle assemblee in fabbrica e nei quartieri, dalle manifestazioni di massa all’autoriduzione delle bollette, dagli espropri proletari agli assalti alle caserme si dispiegava un variegato panorama composto da studenti ed operai, disoccupati ed “emarginati” e tra questi, un movimento eterogeneo di comunisti eretici e indiani metropolitani,comontisti e consiliaristi, situazionisti e autonomi. Oltre le Brigate Rosse che portavano avanti la presa del potere e l’“attacco al cuore dello Stato”, esisteva un’arcipelago di sigle (più di seicento quelle utilizzate) che praticavano forme di guerriglia metropolitana. Se il ruolo degli anarchici in questa fase storica, salvo qualche sparuta eccezione, risultava del tutto marginale, con un antiquato movimento anarchico di sintesi, prese piede sempre più quello dell’anarchismo d’azione diretta, cioè l’esperienza dei gruppi d’affinità e dei nuclei autonomi; esperienze simili apparivano anche in Spagna, Inghilterra e Francia. Fuori e contro la burocrazia di ogni colore i giovani ribelli cercarono di coniugare la critica della vita quotidiana con la sovversione dei ruoli sociali imposti.

In questo scenario di autonomia proletaria e “bombe, sangue e capitale”, per usare l’espressione di un testo di quegli anni, l’anarchismo di Bonanno entrerà in polemica sia con le organizzazioni neo leniniste, staliniste e autoritarie, sia con l’ormai stantìa Federazione anarchica tradizionale. Allo stesso modo, dalla stessa penna, verrà delineata una critica dello specialismo, dell’avanguardismo e del militarismo. Tra le ‘querelle’ di questo periodo significativa è quella tra il giornale “Insurrezione”, la rivista “Anarchismo” e il gruppo armato “Azione Rivoluzionaria”. Quest’ultimo infatti fu un’esperienza di lotta armata libertaria a cui venivano rimproverate una serie di contraddizioni tra le quali “ […] quella sulla funzione dell’organizzazione armata che si persiste nel vedere come funzione “guida“, come funzione “primaria”, nei confronti del lavoro di massa, nella realtà di produzione e di sfruttamento; quando invece sarebbe stato più esatto parlare di indispensabilità dell’organizzazione armata specifica e della contemporanea importanza dell’allargamento del lavoro di massa, senza che l’una cosa sia subordinata all’altra o viceversa. “ (Contributi alla critica armata libertaria, Edizioni Anarchismo).

Nel 1977 la radicalizzazione e la generalizzazione dello scontro di classe si acuiscono ulteriormente e Alfredo da alle stampe “La gioia armata”, pamphlet scritto proprio perché “ […] appariva quindi essenziale evitare che il gran numero di azioni che venivano realizzate giornalmente sul territorio dai compagni, azioni di attacco contro uomini e strutture del dominio e del capitale, non venissero convogliate nella logica dirigista di un partito armato, come le Brigate Rosse in Italia, tanto per fare un esempio.

Lo spirito del libro è tutto qui. Fa vedere come da una pratica quotidiana di liberazione, e di distruzione, possa venire fuori una logica gioiosa di lotta e non un metodo mortale e schematico di irrigidimento dentro i canoni prefissati da un gruppo dirigente.” Ricordiamo che questo libro “[… ]è stato condannato in Italia alla distruzione. Una sentenza della suprema corte italiana lo ha destinato al rogo. […] Per avere scritto questo libro, sono stato condannato ad un anno e mezzo di prigione.” 

Ma è nel 1978 che si ha un vero scandalo nel mondo intellettuale: esce con le Edizioni Anarchismo “Il mio testamento politico”, a firma di Jean-Paul Sartre ma in realtà un testo di 40 pagine di Joseph Déjacque, anarchico morto a Parigi nel 1864. Un detournement che costerà a Bonanno una denuncia da parte del filosofo parigino.

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Con l’avvento della telematica agli inizi degli anni ‘80, comincia un’importante fase di ristrutturazione dello Stato e del capitale e, in pieno periodo “emergenziale”, la controrivoluzione dispiega tutte le sue forze in un momento di forte riflusso del movimento rivoluzionario e antagonista. La creazione di carceri speciali e le leggi sulla dissociazione e sul pentitismo aprono un dibattito sulla questione della prigionia politica italiana. Alfredo pubblica nel 1984 “E noi saremo sempre pronti ad assaltare il cielo”; un libro contro l’amnistia e contro la “resa” ventilate da alcuni militanti comunisti. Si intravede oramai la fine della centralità operaia e del Partito e si rilancia con la pratica del sabotaggio diffuso e l’attacco anonimo e polverizzato sul territorio, l’ipotesi armata. Da Londra Alfredo scrive “La rivoluzione illogica”, dove si rimarca la polarizzazione della realtà, l’importanza dell’intervento nelle lotte intermedie, dell’organizzazione informale e del progetto insurrezionale. Nei primi anni ottanta, sempre in Inghilterra, è presente durante la rivolta di Brixton.

Prende sempre più piede l’inadeguatezza di una certa visione ottocentesca dell’insurrezione anarchica, quella immaginata con le bandiere rosse e nere sopra le barricate: si osservano le sommosse irrazionali che caratterizzano le società capitaliste. 

Nel frattempo si sperimentano i “nuclei autonomi di base” all’interno delle lotte rivendicative, specifiche, e si parla dei “ponti” tra il movimento specifico (i compagni) e il movimento reale (la realtà degli esclusi in lotta). Quindi si partecipa alle lotte dei ferrovieri del compartimento di Torino, si dà vita al Coordinamento delle Leghe autogestite contro la base missilistica di Comiso nel 1987 e si partecipa alle lotte contro il nucleare ed alle manifestazioni antimilitariste con dei precisi obiettivi di attacco.

Nasce la rivista Provocazione (1987-1991) e Bonanno viene arrestato con un altro compagno per una rapina in una gioielleria a Bergamo nel 1989. A proposito di azioni diffuse e decentralizzate va ricordato che in Italia, dalla fine del 1977 al 1989, vengono abbattuti 1200 tralicci.

Sono anche gli anni in cui l’anarchico siciliano descrive la condizione de “I giovani in una società post-industriale” e la divisione tra gli esclusi e gli inclusi:

“Tempo fa, ho proposto una distinzione basata su questi due concetti. Da un lato, gli “inclusi”, racchiusi nel loro castello teutonico, possessori della nuova tecnologia e, solo per questo, dominatori; dall’altro lato, gli “esclusi”, destinati ad un impiego passivo della tecnologia, spossessati di qualcosa che non sarà mai più la loro arma di “lavoro” e, proprio per questo, dominati.

Ho spiegato, a me sembra in modo esauriente, che questa distinzione si adatta a sufficienza (pur restando modello di ragionamento) alla realtà post-industriale. La tecnologia di oggi è la “ricchezza”, ben al di là del semplice “capitale finanziario”, che andrà a diminuire sempre di più. Questa tecnologia non potrà essere condivisa da tutti. I più (gli esclusi) saranno abilitati solo ad un utilizzo passivo e non comprenderanno nulla al di là del semplice pigiare qualche bottone. I meno (gli inclusi) elaboreranno le ricerche e gestiranno il potere attraverso un possesso loro esclusivo.” I giovani in una società post-industriale,

Anarchismo, 1988.

Arrivano gli anni ‘90 e proseguono la decentralizzazione delle strutture produttive, la flessibilità e la precarietà. L’anarchismo viene sempre più considerato come una tensione etica individuale che deve fare i conti con una realtà mutevole e un Dominio dello stato diffuso sul territorio, decentralizzato. Alfredo prova a spiegare questo cambiamento della “nuova” democrazia, il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica, con “La tensione anarchica”, un libello tratto da una conferenza in un liceo di Cuneo nel 1995. Si organizzano  conferenze anche nelle università greche dove parla di “Dominio e rivolta”. Sono gli anni del settimanale “Canenero”, un giornale redatto a Firenze da Alfredo e altre varie individualità, ma anche del cosiddetto “Processo Marini” del 1996, dal nome del magistrato che indaga per una “banda armata” denominata ORAI (Organizzazione Rivoluzionaria Anarchica Insurrezionale), inventata dagli inquirenti e che avrebbe a capo Bonanno. Sessantotto anarchici vengono accusati di rapine, sequestri, omicidi, detenzione di armi e varie attacchi alle strutture del potere. Alfredo farà un’autodifesa al processo di Roma, gli anarchici parleranno di una “montatura” e lanceranno una campagna per la liberazione degli inquisiti. Su “Canenero” si scriverà:  “L’insurrezione ha desideri e ragioni che nessuna logica militare potrà mai comprendere.” (CaneNero, settimanale anarchico – 20 dicembre 1996 – numero 43). Ad ogni modo, tra pesanti condanne e molte assoluzioni, il teorema (l’esistenza di una “banda armata” con capi, gregari e covi, ecc…) non passa, sebbene alcuni compagni e compagne vengano condannati per banda armata (il cosidetto gruppo romano). Questo processo e i suoi esiti saranno il prleudio di una lunga serie di tentativi da parte della magistratura di usare i reati associativi per colpire il movimento anarchico.

In un convegno a Velletri, nel dicembre del 2000, prende forma l’idea di “Pensare a una serie di rapporti stabili fra compagni nell’ambito del bacino del Mediterraneo […]”, da qui il tentativo di mettere in piedi “una organizzazione informale raggruppante compagni e gruppi antiautoritari”: l’IAI (l’Internazionale Antiautoritaria Insurrezionalista). Sebbene il progetto vero e proprio non decollerà mai, segna comunque una tappa importante nella storia dell’anarchismo d’azione diretta che si sente parte di un contesto, di una tensione e di un ciclo di lotte internazionali.

I vent’anni trascorsi in questo nuovo secolo vedranno un Alfredo ancora attivo e propagandista, sempre in procinto di pubblicare i suoi testi, costantemente in giro in Italia e all’estero. Vengono stampati “Il trattato dell’inutilità “, la cui stesura ha impegnato gran parte della sua vita. La rivista “Senza Titolo” è del 2009 mentre Negazine del 2017.

Arrestato a Trikala nel 2009 per un’ennesima rapina in banca con un altro compagno greco, Alfredo riceverà una grande solidarietà internazionale.

***

Partendo da una “teoria dell’individuo“ Bonanno ha cercato di superare, grazie al concetto nietzschiano di “oltrepassamento”, il “falso problema dell’individualismo e del comunismo”. Per sua stessa ammissione non è mai stato un nichilista ma piuttosto un comunista anarchico nella piena prosecuzione della tradizione di Bakunin, Kropotkin e Malatesta. In barba ad ogni intellettualismo specialistico e accademico, malgrado una scrittura non sempre semplice e a fronte di un pensiero teorico profondo, spesso e articolato, molte delle sue lucide critiche e delle sue acute considerazioni hanno dato un contributo enorme al movimento anarchico a livello internazionale.

Non è un caso che le sue analisi sviluppate negli anni riguardo “le nuove svolte del capitalismo”, le “trasformazioni nel mondo del lavoro e della scuola “, la “perdita del linguaggio”, la “miseria della cultura”, la “repressione e controllo sociale”, le vediamo concretizzarsi negli accadimenti sociali odierni.

Riteniamo che una parentesi vada comunque fatta sul suo essere internazionalista. Rispetto l’attuale contesto internazionale di guerra imperialista che stiamo vivendo oggi, o più generalmente in questa fase di nazionalismi (oggi riverniciati in chiave sovranista), integralismi religiosi e razzismo di Stato, riportiamo proprio la posizione pubblicata su “Provocazione”, in merito alla “questione palestinese”:

“[…] Occorre pertanto essere contrari sia allo Stato israeliano che allo Stato palestinese, per quanto la lotta contro il primo, che esiste ed è operante, si pone in termini pratici, mentre contro il secondo, che è solo in nuce [1989], si pone in termini politici.

Occorre sostenere la costituzione di una federazione di comunità di lavoratori, palestinesi e israeliani, libere di federarsi a proprio piacimento, di darsi i propri programmi, di fare le scelte organizzative e produttive, fuori delle ingerenze pelose dei grandi Stati e in particolare degli Usa.

È necessaria una collaborazione pratica e ideale, produttiva e culturale, tra il popolo palestinese e quello israeliano, perché si ponga fine a un conflitto nazionale e di razza che non ha ragione di esistere in quanto, in quelle terre, c’è posto per tutti e due i popoli, conservando e oltrepassando le differenze di razza, cultura, religione, tradizioni.

Occorre essere a fianco del popolo palestinese, ma anche a fianco del popolo israeliano, specialmente delle fasce più diseredate e miserabili dei due popoli che una politica internazionale di grandi interessi e sfruttamento spinge al reciproco massacro.”

Provocazione, n. 19, 1989

A tal proposito Alfredo aveva molto a cuore la causa di liberazione palestinese avendo preso parte alla lotta direttamente sul campo ed avendo subito una tortuta dal Mossad.

E di fatti ha avuto molto coraggio (nel vero senso etimologico del termine; cor, agis= agire col cuore), in questo senso, Alfredo, mettendo in gioco la sua intera vita, consumandola con ardore -lentamente ma ininterrottamente, proprio come brucia la candela di Stirner- contro il sopruso e la dignità offesa, contro l’imbroglio ideologico e tutta l’intera organizzazione scientifica di questo ordine mortifero. La vita illogica di Alfredo sta tutta qui; nell’aver creato una frattura all’interno della logica razionale e del mondo borghese, nell’aver ribaltato l’ordine del discorso:

Tutta la macchina della tradizione culturale dell’Occidente è una macchina di morte, una negazione della realtà, un regno del fittizio che ha accumulato ogni sorta di nefandezze e di soprusi, di sfruttamenti e di genocidi. Se il rifiuto di questa logica della produzione è condannato come follia, occorre spiegare la differenza tra follia e follia.

A.M. Bonanno, La gioia armata

Di fronte a noi abbiamo la fredda e mostruosa realtà ma anche la convinzione testarda e rivoluzionaria, ma assolutamente non deterministica, che

[…] siamo sicuri che ogni singolo momento della nostra vita, anche il più piccolo soffio di speranza, il semplice arrossire improvviso per una sensazione piacevole di cui non ci credevamo più capaci, siamo sicuri che tutto ciò non può andare perduto e che il mondo del futuro si costruirà proprio su questi materiali, non accumulabili, non quantificabili, produttivi di aperture nemmeno pensabili.

A.M. Bonanno, Senza una ragione

Oggi, infatti, le questioni etiche e metodologiche poste in passato sono ancora aperte: di fronte alla guerra ed alla “Quarta rivoluzione industriale”, davanti la barbarie e la violenta “Transizione” in atto, tra droni dall’intelligenza artificiale, lo sfruttamento algoritmico e il dominio digitale, come possiamo bloccare la costruzione di questo tecno-uomo derealizzato ed atomizzato del XXI secolo? 

Un clima di appiattimento e di uniformazione, di pietosa accettazione e di agonia scambiata per respirazioni e battiti del cuore. Noi rifiutiamo l’appartenenza vitale di questa morte sostanziale ed è per ciò che vogliamo andare oltre, per questo che vogliamo affermare la gioia come visione della vita e non un misero arroccamento difensivo.

Negazine n.1 2017

Per concludere, lungi dal voler riprodurre pedissequamente dei modelli, senza alcuna velleità di mitizzazione,vogliamo dire che Alfredo ha vissuto una vita contraddittoria, illogica, come lo è del resto quella di tutti noi, immersi in una realtà che è a sua volta illogica, a veder bene. 

Una vita attanagliata dalle pulsioni di morte e dalla volontà di potenza, afflitta dalle ferite dei colpi ricevuti ed irrorata da slanci d’amore disinteressato.

Alfredo da una parte è stato semplicemente un compagno tra gli altri e come tanti altri, nel corso della lunga storia della lotta contro l’oppressione, dall’altra ha portato alle estreme conseguenze il suo discorso e le sue pratiche. Un esempio di coerenza, una spina nel fianco della morale, un “pazzo Don Chisciotte” per tanti benpensanti e pusillanimi, che ha pagato con anni di carcere e repressione la sua tensione. Eclissando la questione: “Io non sono uomo, sono dinamite”, avrebbe detto Nietzsche.

In fondo, dobbiamo continuare a desiderare, a giocare, ad odiare i nemici di sempre ed ad amare la vita. 

Perché, d’altronde, solamente l’autorganizzazione dei processi sociali e la passione rivoluzionaria nel pieno del suo scatenarsi restano un punto fondamentale per una vera …rivoluzione illogica.

TecnoMondo, dicembre 2023

Note. Per chi scrive è stata una fortuna e un piacere averlo conosciuto di persona, sebbene brevemente e in occasioni fugaci. Ad essere sinceri non volevamo correre il rischio di fare né una fredda biografia né un pessimo sunto del pensiero di Alfredo. Ma ci siamo assunti comunque la responsabilità di poter incappare in questo pericolo forse non riuscendo ad evitarlo proprio del tutto. 

Abbiamo citato solo i testi per noi più significativi rispetto alla mole di libri appunti, annotazioni, conferenze. Come ricorda lo stesso Alfredo “oltre le mie due e le quattro tesi per come si usava l’epoca, ho scritto per altri, dal 1969 al 1997 circa 150 tesi di laurea.“. Perché se è vero che Alfredo, rifiutando cattedre e sapere accademico, ci ha parlato più volte dell’importanza della cultura ci ha messo pure in guardia dicendoci sempre che “dalle biblioteche escono i massacratori”.

Appendice [Tratta da “La cultura e la vita” pubblicato su “Provocazione” n. 22, novembre 1989, p. 5]:

    […]Mi ricordo che il mio primo maestro di latino e greco fu un vecchio prete, segretario dell’allora vescovo di Catania, nella cui stanza piena di libri, tre volte la settimana, di sera, mio padre mi accompagnava con religiosa (per lui e anche per me) sollecitudine. Di quella stanza dal profondo odore di muffa e rinchiuso, dalle pareti tappezzate di libri e dai due tavoli sgangherati pieni di pergamene, conservo un ricordo indelebile e amoroso. Non appresi l’alfabeto greco da un qualsiasi libro di grammatica, ma decifrandolo da una pergamena dell’officina catanese del 1072, relativa al trasferimento dei resti delle ossa di sant’Agata. Il lavoro fu subito duro per un ragazzo di dieci anni, ma grande la pazienza di questo vecchio prete dal difficile eloquio e di mio padre che sacrificava così una larga parte delle sue serate. Forse, in quelle occasioni che durarono fino a tredici anni, quando decisi di esternare la mia definitiva (per me) prova della non esistenza di Dio al vecchio prete (a rischio di fargli prendere un infarto), imparai poco greco e un po’ più di latino, ma molto di più imparai la disciplina dello studio, la lotta lunga e rigorosa per strappare al nemico i suoi strumenti. Insomma, per dirla semplice, imparai che la cultura o, se si preferisce, il sapere, si conquista con la lotta, ed è uno strumento di libertà solo quando capisci che nessuno ti sta regalando nulla, perché tutte le condizioni esterne sono contro di te.

Non c’è quindi una parte della cultura, anche quella che sembra possa essere lasciata agli specialisti che può essere tralasciata, snobbata. Non esiste un nocciolo duro, un riassunto, facile facile, per spiriti deboli e fisici acciaccati.

Certo, uno può benissimo essere un’ottima persona senza sapere di greco e di latino, o senza conoscere il tedesco, o la filosofia, o la matematica, e può anche essere un ottimo rivoluzionario, ma gli potrà capitare di sentire degli stimoli che resteranno senza spiegazione, oppure respingerà inorridito delle intuizioni per non sapere come spiegarsele. La sua azione risulterà irrimediabilmente circoscritta e, ancora peggio, irrimediabilmente destinata alla delega. […] 

Voglio fare alcuni esempi lontani, apparentemente lontani, da tutto quello che ci mettono sotto il naso tutti i giorni. Ho letto sui giornali di Manzoni a proposito degli esami di Stato e delle tragedie manzoniane. Conoscendone a memoria i cori me li sono ripetuti, tanto per passare il tempo, qui dentro [nel carcere di Bergamo] e, nel primo di essi, nei versi ormai fuori moda e fuori stile ho sentito improvvisamente un insegnamento per me, uomo del Duemila, rivoluzionario, carcerato, un insegnamento e una sollecitazione al rifiuto della delega e alla rivolta. Non un concetto vago, ma un discorso approfondito, collettivo, di un popolo che si illude e spera, che si ferma, che poi finalmente capisce che la sola speranza è quella della ribellione popolare, senza aiuti e senza appoggi. E mi sono sentito più forte non per un concetto che certamente sapevo bene, ma per quelle parole, per quel coro, per quel ritmo e per quello stato d’animo preciso, che soltanto quei versi di Manzoni sanno dare in modo insostituibile.

Un altro solo esempio. Allo stesso modo e per lo stesso motivo, per passare il tempo e per l’influsso del luogo, mi sono ripetuto a memoria i versi tradotti da Pindemonte, i versi in cui il vecchio Odisseo torna alla sua isola, alla sua donna, al suo cane, e vi trova l’ignobile scempio approntato dai conquistatori, l’attesa della propria donna, l’incertezza del figlio, la fedeltà immutabile del cane, e vi trova anche la necessità della vendetta, l’ineluttabilità della vendetta. E il vecchio lottatore prende in mano le armi e inizia il suo doloroso compito e non ha paura del sangue e delle giovani vite stroncate, a una a una, come bestie al macello, e man mano che va avanti nella terribile necessità il suo cuore vacilla, sente la difficoltà di capire il perché di tanto nuovo dolore, il perché di quelle nuove morti, ma ecco che la sua mano torna improvvisamente sicura e forte, l’uccello di Atena è volato là vicino, si è posato su di una trave, simbolo della coscienza armata, che continua dura e inflessibile, anche quando il cuore e il sentimento dell’uomo sembrano vacillare.

E nel chiuso di questa cella, insieme ai miei versi, mi sono sentito più forte e anche più sicuro.

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