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Accesso all’aborto negli Stati Uniti, resistenza e femminismo autonomo

Pubblichiamo questa intervista di Tous Dehors a May fatta prima dell’effettivo ribaltamento della sentenza Roe contro Wade, avvenuto il 24 giugno. Tutti i condizionali del testo sono quindi da considerarsi sciolti.


Lunedì 2 maggio 2022 una fuga di notizie, pubblicata dal media Politico, svela un ordine del giorno deliberativo della Corte Suprema statunitense. Il documento proponeva la revoca della Roe v. Wade, una sentenza emanata nel 1973 che garantisce il diritto all’aborto negli Stati Uniti. Benché questa fuga di notizie abbia avuto un effetto bomba, dal momento in cui le conseguenze di una tale revoca avrebbero portato effetti disastrosi per il diritto all’aborto, gli attacchi sull’accesso all’aborto non sono per nulla una novità, come ci racconta May, attiva nei gruppi femministi che aiutano direttamente le donne nell’accesso all’aborto, difendendo i loro diritti, ma anche sostenendole nel loro percorso.

1. Potresti raccontare in due parole cos’è la sentenza Roe v. Wade?

Roe v. Wade è una sentenza della Corte Suprema – più alto organo giudiziario negli Stati Uniti – datata al 1973. La sentenza assicura il diritto all’aborto a livello federale, ovvero nell’intero Paese. La Costituzione Statunitense contiene infatti un “diritto alla vita privata”, il quale permette a ogni persona di poter fare le proprie scelte in merito alla gravidanza, alla nascita o all’aborto. Il caso Roe v. Wade era giunto alla Corte Suprema perché al tempo l’aborto era essenzialmente illegale nello Stato del Texas [Jane Roe, lo pseudonimo di Norma McCorvey, contestava il divieto dell’aborto nel Texas].

2. Cosa implicherebbe la revoca di questa delibera? Significa che le amministrazioni di ogni Stato potranno fare quello che vorranno riguardo la legislazione sull’aborto?

Sì, vorrà dire che non ci sarà più nessuna protezione federale del diritto all’aborto, che è già di per sé risicato da diversi anni. I legislatori potranno a quel punto regolamentare il diritto all’aborto nei loro rispettivi Stati. Numerosi tra essi hanno già iniziato a redigere delle leggi che entrerebbero in vigore qualora la Roe v. Wade venisse revocata, cosa che quindi renderebbe l’aborto illegale. Questa situazione è stata predisposta da tempo dagli interessi anti-abortisti (tra eletti e lobby): è da decenni che gli attacchi del governo, a livello dei singoli Stati, prendono di mira l’accesso all’aborto, andando a creare un mosaico di leggi molto diverse tra loro e una estrema differenziazione da uno Stato all’altro.

Nel corso degli ultimi dieci anni in particolare, le amministrazioni di alcuni Stati hanno preso di mira i servizi che praticano l’aborto attraverso delle leggi, chiamate TRAP [Targeted Regulation of Abortion Providers regolamentazioni mirate ai servizi per l’aborto], provocando la chiusura di più di 80 servizi ospedalieri nel Sud e nel Midwest. La maggior parte delle donne negli Stati Uniti vivono, in questo momento, a più di 100 miglia [160 km] da una clinica che pratica l’aborto, e moltissime donne sono di fatto già costrette a recarsi in un altro Stato per averne accesso. L’obiettivo delle leggi TRAP e di altre leggi che limitano il diritto all’aborto è di dissuaderne e scoraggiarne il più possibile la pratica, senza renderla illegale, poiché questo rimane impossibile proprio grazie alla Roe v. Wade. Ci sono stati dei tentativi di divieto dell’aborto dopo 6 settimane di gravidanza in diversi Stati, attraverso le leggi dette “sui battiti di cuore del feto” [fetal heartbeat] – posto che la maggior parte delle donne non sappiano ancora di essere incinta dopo 6 settimane. A causa delle leggi TRAP, in alcuni Stati le donne devono obbligatoriamente fare delle ecografie, inutili, e in seguito aspettare 24 o 48 ore prima di poter proseguire medicalmente con l’aborto. In alcuni Stati delle donne sono state criminalizzate e imprigionate per degli aborti spontanei. Il Texas rimane sempre il maggiore terreno di scontro per l’aborto e di recente sono state introdotte delle leggi che rimborsano diecimila dollari a chi porta a processo le persone che praticano l’aborto, sperando così di poter esaurire le risorse finanziare dei servizi sanitari che lo propongono.

Questa decisione della Corte Suprema andrà a peggiorare una situazione già pessima. In più, dato che la delibera della Corte Suprema revocherebbe il precedente legale specificatamente sul diritto alla vita privata, ciò potrebbe avere delle ripercussioni anche oltre la questione dell’accesso all’aborto – come per esempio sulle protezioni legali sull’accesso ai contraccettivi, alla pillola del giorno-dopo, sui diritti delle persone omosessuali e su altre tutele dei diritti civili.

3. Se si conferma la revoca, non si avranno quindi gli stessi effetti per tutte le persone coinvolte, a seconda dello Stato dove si vive. Secondo te, quali sono le persone più toccate dalle conseguenze di questa potenziale revoca?

Questa decisione coinvolge tutte negli Stati Uniti, questo è fuori di dubbio. L’accesso all’aborto è fondamentale. Tuttavia, le donne che saranno più toccate sono probabilmente quelle che si sono già viste attaccare l’accesso all’aborto nel loro Stato nel corso degli anni. La delibera avrà delle conseguenze principalmente sulle donne povere, le non-bianche, le native, le non anglofone, le prigioniere, le giovani e soprattutto le minori, e le donne che sono già madri o caretaker. Sarà impattante anche per le donne che non hanno facile accesso alle cure mediche, ai trasporti, alle donne che si trovano in situazioni di violenza sessuale, domestica o all’interno di relazioni tossiche. Tutte loro stanno già affrontando ostacoli importanti per l’accesso all’aborto e a delle buone condizioni per il parto.

Probabilmente colpirà in prima istanza le donne che vivono nel Sud e nel Midwest, in particolare fuori dalle zone urbane maggiormente democratiche. Penso che ci si potrebbe aspettare che alcuni Stati costieri, che sono dei bastioni democratici, decretino la tutela dell’aborto e diventino così dei porti sicuri per la sua messa in pratica. Se puoi permetterti di vivere o di viaggiare in California, nel Maryland o a New York, può darsi che non sarà difficile avere accesso all’aborto – si vedrà. Ma è un problema complesso e l’attacco alla “scelta” riproduttiva è su tutti i fronti: è un attacco all’educazione sessuale, alla conoscenza del proprio corpo, all’accesso alle cure mediche, alla capacità di far nascere una persona se lo si desidera.

4. Qualche ora dopo la fuga di notizie, diverse persone sono scese in strada per manifestare a Washington. Nei media francesi, la situazione, nel suo complesso, è stata riassunta così: due gruppi si oppongono, da una parte i Democratici, pro-abortisti, e dall’altra, i Repubblicani, “pro-life”. Questa descrizione si attiene alla realtà della situazione? Pensi che le persone che manifestavano siano rappresentative della popolazione statunitense in generale?

Le cose non sono così in bianco e nero. La politica statunitense non segue così nettamente la divisione dei partiti. Ciò che importa riguardo quella notte a Washington è che viene riportato ci fossero duemila, tremila persone davanti alla Corte Suprema a manifestare a favore dell’aborto, e solamente quindici o venti manifestanti anti-scelta o “pro-life”. Circa il 70% degli/delle Statunitensi sostengono il diritto all’aborto. Una percentuale inferiore della popolazione va a votare alle elezioni. In termini di partiti politici, penso sia pericoloso che i Democratici si appoggino sulle minacce incombenti sull’aborto (piuttosto che quelle sulle cure sanitarie etc.) per ottenere la vittoria alle elezioni, perché in realtà i Democratici non hanno praticamente nulla da offrire materialmente agli Statunitensi. Non si rendono realmente conto del problema, ma lo cavalcano. Vedo questa situazione come una sorta di presa in ostaggio.

5. Pensi che in questa situazione possa essere sufficiente una risposta politica dei Democratici? Quali potrebbero essere degli altri modi di battersi per la libertà di abortire?

Assolutamente no. I Democratici sono dei perdenti di professione. Hanno agevolato da decenni lo spostamento della politica nazionale verso destra e non hanno proposto praticamente nulla in termini di tutele preventive contro gli attacchi all’aborto. Quello che ha mantenuto aperto l’accesso all’aborto negli Stati Uniti, è il lavoro dei gruppi organizzati sul campo. C’è una vasta e potente rete di fondi per l’aborto e di gruppi per l’accesso all’aborto in tutto il Paese – la Rete Nazionale di Fondi per l’Aborto. Si tratta di gruppi che raccolgono fondi per sostenere le persone che non possono pagare gli aborti. Questi gruppi aiutano anche a districarsi tra le complesse questioni legali e mediche attorno ad esso, accompagnano le donne fino alla fine del percorso, trovano delle soluzione per l’alloggio e offrono il loro sostegno personale: qualcuno con cui parlare o che accompagni la donna al suo appuntamento. Questi gruppi fanno un lavoro enorme, e la maggior parte si sono formati a partire da un piccolo nucleo i persone determinate. Ci sono anche delle associazioni che sostengono le persone che praticano l’aborto così come le grandi reti di servizi ospedalieri come Planned Parenthood [ndt: Genitorialità programmata]. Ci sono infine delle reti clandestine che aiutano le persone ad abortire in casa. Queste reti provengono da una lunga storia di gruppi simili, come ad esempio il Jane Collective degli anni sessanta e settanta.

6. C’è stata una reazione omogenea tra i gruppi e i movimenti che si dicono femministi negli Stati Uniti?

Non proprio. Questa sentenza è veramente agghiacciante. Per i membri del movimento per l’aborto, non è una grande sorpresa – ci si prepara a questa eventualità da molto tempo. Ci sono state tutta una serie di reazioni. Alcune persone protestano davanti alle case dei giudici della Corte Suprema, delle altre raccolgono fondi per l’aborto o fanno del volontariato, altra ancora organizzano manifestazioni e cortei, e in diverse città sono state anche lanciate delle bombe incendiarie contro le sedi di organizzazioni anti-abortiste. Altre imparano a seguire e gestire da sole la propria fertilità, a praticare degli aborti casalinghi con tecniche mediche e a base di erbe, a diventare delle accompagnatrici dell’aborto.

Si tratta di uno strano paradigma politico, perché è una questione determinante per le elezioni. Così, per molti/e liberali, è semplicemente un nuovo attacco al diritto all’aborto. Rimangono fermi al piano degli slogan e alla prospettiva delle prossime elezioni. Ma per molte altre persone, a essere sotto attacco è la nostra autonomia riproduttiva – il diritto fondamentale alla nostra vita e di creare vita – e l’attacco è totale e costante. Nel momento in cui parliamo di “diritto di scelta”, dobbiamo capire che la decisione di abortire non è sempre prese dalle donne incinte, ma dalle circostanze che ci circondano.

Qualora vogliate un altro figlio ma siete sommerse di debiti a causa dei vostri studi, della carta di credito e delle spese mediche e non potete quindi permettervi di far nascere un bambino, è veramente una scelta? E quando avete una patologia pre-esistente, o affrontate il razzismo sistemico o un’esperienza medica traumatica, nel Paese col più alto tasso di mortalità materna? Nel momento in cui desiderate avere una famiglia e un futuro ma vedete il mondo attorno a voi morire per il cambiamento climatico, è veramente una scelta? È una scelta, quando il vostro reddito e la vostra rete di sicurezza sociale sono fortemente precarie – rischiate di perdere i vostri buoni spesa, le vostre cure, di vedere le vostre ore di lavoro forzatamente diminuite, di essere sfrattate da casa vostra – e non vi sentite capaci di offrire una vita stabile ad una figlia? E quando invece siete in carcere e dovreste partorire ammanettata e vostro figlio preso in carico dai servizi sociali? Potrebbe darsi, ancora, che desideriate far nascere una vita, ma a causa della medicina irresponsabile o all’esposizione all’inquinamento ambientale, siete sterili.

Numerose femministe nere hanno esteso il campo alla “giustizia riproduttiva” per lottare contro queste realtà, e legare la lotta per l’accesso all’aborto alle lotte per la scelta per un parto senza rischi o per l’accesso delle madri a delle cure appropriate durante tutto il periodo della gravidanza, dei loro figli fino all’infanzia e anche oltre.

Mi sento molto affine a queste prospettive. È importante notare a quale punto si tratti allo stesso modo di una lotta economica – gli Stati Uniti stanno affrontando una crisi economica a lungo termine a causa del calo del tasso di natalità e di una riduzione di massa della fertilità.

La mancanza di forza lavoro negli Stati Uniti non è una situazione temporanea, ma permanente, perché la generazione dei “baby-boomers” arriverà alla pensione e morirà. Ma le condizioni per avere dei figli, e le condizioni di vita dei figli stessi, sono completamente avverse. Per me, la lotta per l’accesso all’aborto è una lotta per la vita in senso più lato.

7. Pensi che la situazione attuale dia una possibilità di rilancio del movimento femminista negli Stati Uniti?

Spero ancora in un rilancio del femminismo, ma bisogna sfuggire alle trappole corporative e liberali che sono in agguato del movimento, e ne ridefiniscono i termini politici. Specialmente nel corso dell’ultimo decennio, le posizioni e l’identità femminista sono diventati dei luoghi comuni. Il femminismo è stato reso estetica ed è stato integrato nel sistema politico, cosa che gli ha fatto perdere una parte del suo significato e soprattutto il suo carattere militante. Penso che siamo pienamente consapevoli che tutto sia insufficiente – devono ancora attuarsi dei cambiamenti profondi attorno a noi. La politica della delega e della “presa in ostaggio” dei Democratici costituiscono, su questo aspetto, una grande sfida: nonostante la disillusione generalizzata riguardo la politica istituzionale, la gente sente di non avere altra scelta. Ma c’è molta rabbia e molta forza, che vengono dalle esperienze del corpo individuali vissute dalle donne in questo scontro. Questa energia andrà a svilupparsi da qualche parte.

8. Adesso vorrei chiederti un parere sull’idea stessa di inquadrare legalmente l’aborto. Mi viene in mente un testo degli anni 1970-1980 (ma non credo abbia suscitato particolare successo negli Stati Uniti), “Non credere di avere diritti” della Libreria delle donne di Milano, nel quale si espone l’idea che legalizzare la pratica dell’aborto sia sostanzialmente sottrarre questa pratica, e i saperi che l’accompagnano, alle donne per consegnarlo alle istituzioni patriarcali, come la medicina o il diritto. Per queste compagne, chiedere il diritto di fare qualcosa che è sempre e in ogni caso stato fatto sia un controsenso e una sorta di umiliazione. Hai avuto modo di discutere su questo tema?

Sì, non ho letto quell’articolo ma è la base del movimento per l’autonomia riproduttiva, ed è il motivo per quale dico spesso “accesso all’aborto” piuttosto che “diritto all’aborto”. La questione è veramente complessa e rientra nei miei più accorati interessi. Il piano dei diritti legali e la necessità di una giustificazione costituzionale dell’autonomia del nostro corpo rivelano la struttura patriarcale alla base del governo statunitense – di tutti i governi a dire il vero. La lotta per l’accesso all’aborto e il controllo del proprio corpo è al cuore di numerose questioni giuridiche – è il terreno della bio-politica. Il tasso di mortalità materna è aumentato in maniera esponenziale da quando il parto è stato espropriato dalla sfera delle donne e delle accompagnatrici per entrare nel dominio del medico maschio. Questo processo è stato molto violento. Lo sviluppo della medicina e del controllo ginecologico è profondamente legato all’eugenetica e alla violenza razziale contro le donne nere e schiave. Consiglio caldamente la lettura di Witches, Midwives and Nurses di Barbara Ehrenreich e Deirdre English e Killing the Black Body di Dorothy Roberts.

Di conseguenza, abbiamo perso il contatto col nostro corpo, compresa la conoscenza corporea e la nostra comprensione dell’entità del parto e dell’aborto. I ritmi di vita che permettono un rapporto con la fertilità sono stati turbati e rotti. Le pratiche di gestione della fertilità, come l’attivazione del ciclo mestruale con l’aiuto di piante, sono una pratica corrente in numerose culture – e qualcosa che viene fatto comunque nella sfera privata. È qui che è interessante riflettere sulle specificità del diritto costituzionale, perché in questo aspetto l’eventuale revoca sovverte il diritto alla vita privata. In virtù di numerose leggi statali, il fatto di provocare le proprie mestruazioni potrebbe essere criminalizzato o considerato come un aborto. Ma questa pratica, se si diffondesse, potrebbe essere relativamente banale e facile. Chi tra noi ha le mestruazioni è abituata a gestire la propria sanità riproduttiva nella sfera privata. È per questo che gli Stati che vietano l’aborto si appoggiano su leggi relative alla segnalazione, alla delazione e al bonus. È previsto che i procuratori generali utilizzino delle società di analisi dei dati per identificare le donne che provano ad abortire e per raccattare prove contro di loro.

Dobbiamo difenderci contro questi attacchi senza tregua, rivendicando il nostro corpo, al di fuori dei sistemi medici e giuridici, al di fuori dei “diritti” della democrazia liberale.

9. Secondo te, quale strategia potrebbero adottare i movimenti femministi per l’aborto in modo da acquisire forza? Come potrebbero irrompere nella scena politica?

Io sostengo la lotta su tutti i suoi vari fronti, ma l’autonomia e l’educazione sono le pratiche su cui in particolare vorrei soffermarmi. Sostengo pienamente le azioni di protesta davanti alle case dei giudici della Corte Suprema e penso che dovrebbero svilupparsi e esprimersi. Ma in ogni caso, il mio istinto mi spinge a ispirarmi alle tattiche potenti delle lotte delle donne nella storia e a livello internazionale, specialmente in Messico e in Polonia riguardo i loro recenti movimenti di difesa dell’accesso all’aborto. Credo che dovremmo scioperare – uno sciopero generale o degli scioperi specifici nel settore pubblico e della sanità, mi sembrano due linee sensate. Il fatto che le organizzazione femministe e quelle che difendono l’accesso all’aborto sostengano uno sciopero portato avanti in questo modo, mi sembra essere qualcosa che potrebbe veramente cambiare le cose.

Sostengo anche la contestazione militante. In un certo modo, lo sciopero è forse più combattivo, ha sicuramente bisogno di un alto livello organizzativo, ma si gioca per il mantenimento dell’accesso all’aborto in tutto il Paese. In questa lotta si impegnano già un’enorme quantità di energia e di risorse, ma in certo senso, la lotta è caduta nella trappola della semplice organizzazione per ridurre i possibili danni e pericoli. Perciò mi viene male accettare ancora i consueti presidi e marce di protesta. Mi preoccupa moltissimo la minaccia di repressione contro le organizzazioni per l’accesso all’aborto e delle persone che tentano di abortire, in caso di revoca della Roe. Si tratta di un attacco di primo ordine e merita una risposta a tono. Sfortunatamente, sembra che a volte ci sia poco spazio nell’immaginario radicale statunitense per uno sciopero generale e contagioso, come proposta reale. Ma credo che siamo in grado di costruire una organizzazione di massa perché siamo già impegnate su questa strada. Dobbiamo credere che possiamo agire con forza e potenza e rivendicare ciò che ci appartiene.

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