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Da quando il mondo è finito qualche settimana fa

Counter Power Radio Hour

Intervista collettiva realizzata attraverso il programma radiofonico Counter Power Radio Hour su WDBX radio di
Carbondale, Illinois, Stati Uniti il 31.3.2020

Questa è Counter Power Radio Hour e
oggi abbiamo una puntata speciale perché siamo in collegamento con
un po’ di gente da tutto il paese per parlare di questa pandemia e
della possibilità di organizzarsi. Oltre al mio co-host Matt abbiamo
ospiti Frances, Kye e Walter. Volete presentarvi, dire da dove venite
e la situazione intorno a voi?

Frances:

Sono isolata, mi sto isolando come
molte persone: sono in una piccola città del sud, ho perso il lavoro
e non so come trovare le risorse per il prossimo futuro, questa cosa
mi spaventa un po’. Scorrendo la mia bacheca Instagram ho visto
queste, per così dire, dichiarazioni della gente su cosa sia
essenziale in questo momento per la sopravvivenza. Sono venuti fuori
i cinque punti, le cinque richieste per sopravvivere al covid-19, e
dando un’occhiata a chi discuteva di ciò mi sono accorta che molti
discorsi vertevano sul non pagare l’affitto, o congelare l’affitto,
fino allo sciopero dell’affitto. Ho notato come questa piattaforma,
che sembrava uscita dal nulla, ha in effetti come base il sito
5demands.global e come la gente abbia cominciato ad organizzarsi, sia
perché costretta a farlo, sia perché ha voglia di farlo in supporto
a tutti coloro che non hanno la possibilità economica di pagare. Ci
sono un sacco di suggerimenti/indicazioni su questo sito.

Kye:

Al momento sono in quarantena nel South
West, in Arizona. Ho perso il lavoro, circa tre settimane fa, non
posso fare la domanda per la disoccupazione perché prima non ho
guadagnato abbastanza e non vedo alcuna prospettiva di fare qualcosa
per guadagnare alcunché, e ciò mi spaventa molto. Mi sto
organizzando e sto aiutando la mia famiglia e i miei amici che vivono
ad Atlanta e ad Oakland, mettendoli in contatto con la gente che sta
facendo lo sciopero dell’affitto in quelle città. Fino a poco tempo
fa non sapevo cosa fosse un Rent Strike, lo sto imparando adesso ed è
parte di un processo per la mia comunità.

Walter:

Abito nel nord est dello stato di
Washington e proprio oggi io e i miei coinquilini abbiamo mandato una
lettera al padrone di casa dicendo che non pagheremo l’affitto del
mese di aprile perché non possiamo. Molti di noi hanno perso il
lavoro quando il governatore ha chiuso con un decreto d’emergenza
tutte le attività non essenziali. Un posto dove lavoravo tra l’altro
ha chiuso prima e quindi ho perso due lavori di fila e non so se ho
accesso alla disoccupazione. Stiamo iniziando ad organizzare lo
sciopero dell’affitto con alcuni amici e vicini ed altra gente che
vive in appartamenti nei complessi residenziali qui in zona. C’è
molto fermento a riguardo. Dobbiamo organizzarci perché
semplicemente la gente non ce la fa a pagare, ed è meglio se non
paghiamo tutti insieme come una forza unita piuttosto che fallire da
soli nel pagare l’affitto individualmente. In entrambi casi non
paghiamo, giusto? Sono in quarantena in casa da due settimane perché
una persona che vive con me sta male, quindi sto cercando di fare del
mio meglio per lavorare da computer su questo progetto; sto inoltre
collaborando al sito 5demands.global, c’è dell’ottimo materiale.
Stiamo cercando di contattare anche i piccoli negozi che non riescono
a pagare l’affitto per organizzarci con loro magari con una forma di
autoriduzione collettiva da presentare ai proprietari dei locali.
Direi quindi che stanno succedendo molte cose, pare che sia un
momento molto interessante.

Ci sono stati molti dibattiti
e molte attività da quando, beh da quando il mondo è finito qualche
settimana fa, riguardo al mutuo appoggio: un concetto che nei circoli
politici radicali si conosce, si pensa e si pratica da molto tempo,
specialmente nelle ultime due decadi. Sempre di più nelle catastrofi
la gente parla di ciò e di come una comunità si possa organizzare
per rispondere ad una situazione di disastro. E di come spesso la
vita migliori in queste circostanze: molte leggi e il concetto di
proprietà privata che prima erano radicati spesso vengono gettati
dalla finestra e le persone iniziano immediatamente a prendersi cura
l’una dell’altra in un modo che ci fa stare bene. E’ interessante
come questo concetto stia in qualche modo esplodendo. Le comunità di
tutto il mondo si stanno prendendo cura della gente, stanno cercando
di capire come farlo con modalità nuove nel contesto del
distanziamento sociale. E vi chiedo: cosa c’entra il concetto di
Rent Strike col mutuo appoggio? Come vi risuona?
È
una cosa separata o vi è in relazione?

Frances:

Stavo
giusto coordinando da lontano un progetto di mutuo appoggio, rispetto
alla devastazione creata dal tornado che ha colpito Nashville poco
prima dell’arrivo del covid-19; lavoravo col gruppo che raccoglieva
gli aiuti, il cibo e aiutava
la gente a ricostruire le case,
quando il covid-19 ha iniziato
a sussurrare la sua presenza in giro. Il gruppo immediatamente è
passato a occuparsi direttamente dell’aiuto rispetto al covid-19,
abbandonando l’ampia e lontana area di Nashville  e focalizzandosi
sul territorio locale, sviluppando modalità di intervento e di aiuto
per la popolazione locale nel reperire gli aiuti di base come il
disinfettante per mani, guanti, cibo e vestiti, rifugi per i
senzatetto… e questo prima dell’iniziativa sui dormitori portata
avanti a livello nazionale. Insomma, le necessità umane di base e
tutto ciò per cui la gente si organizza per proteggere se stessi e
gli altri dal covid-19.

In questo senso il Rent Strike è una
tattica per mantenere la gente a casa e dare rifugio alla gente che
effettivamente ne ha bisogno. Il mutuo appoggio connesso allo
sciopero degli affitti non è quindi solamente un fatto basilare ma
anche un sistema di supporto fondativo per chi è nei dormitori ed è
anziano o immunodepresso e per chi non può più pagare e non vuole
finire in mezzo ad una strada e rischiare di contrarre il virus. Il
mutuo appoggio fornisce una sorta di esoscheletro che rinforza la
casa come prima linea di difesa nell’immunità dal covid-19.

Molto interessante l’idea di un
sistema immunitario che si estende al di fuori del tuo corpo. Kye, ne
parlavamo prima dell’intervista, molta gente che ha già vissuto in
condizioni difficili prima di questa crisi aveva già bisogno di
molte di quelle cose che adesso si mettono in pratica…

Kye:

Esatto, e ciò mi riguarda in prima
persona. Ho vissuto in un quartiere nero di Atlanta colpito
fortemente dalla gentrificazione, per un po’ di tempo tutte le
conversazioni sui problemi relativi alla casa e la sicurezza
dell’abitare vertevano su questo. Sono curioso di vedere se come
movimento riusciremo a spingere il Rent Strike oltre questa
emergenzialità della pandemia e a costruire un nuovo modo di abitare
nel futuro.

Per concludere sul rapporto
tra sciopero dell’affitto e mutuo appoggio volevo rivolgermi a
Walter, perché una cosa che dicevi descrivendo la tua situazione è
che c’è un potenziale nel fare ciò insieme, collettivamente: la
componente della solidarietà…

Walter:

La
solidarietà è complementare al modello del mutuo appoggio. Entrambi
si riferiscono a come ci prendiamo cura di noi collettivamente e ci
occupiamo delle nostre necessità piuttosto che rendere ognuno
responsabile di fallire da solo. Ma anche questa sovrapposizione di
mutuo appoggio e Rent Strike rende l’autorganizzazione
molto più facile e possibile. Prima che la mia casa andasse in
quarantena, quando questa pandemia si stava solo affacciando,
andavamo in giro per il quartiere con dei volantini dicendo “ehi
abbiamo delle risorse, questo è il mio numero, vogliamo fare una
chat di quartiere, nel caso avessimo bisogno di condividere risorse e
aiutare chi ne ha bisogno, o prendere frutta e verdura per chi è
isolato o in quarantena.” Non avevamo nessuna rapporto con la gente
del quartiere prima, nessuno era reattivo sulla questione. Poi tutt’a
un tratto ci troviamo in un momento come questo in cui la
gente realizza che si deve mettere insieme e ciò ci offre la
possibilità di incontrarne molta altra. Degli amici in un altro
quartiere hanno fatto la stessa cosa e nei discorsi di quartiere è
saltato fuori “ehi cosa pensi di fare riguardo all’affitto? Hai
abbastanza soldi per riuscire a pagare?” E così sono nate queste
grandi discussioni sullo sciopero e sul prendersi cura di tutti,
assicurarsi che si abbiano cibo e medicine, ma anche che ognuno abbia
un tetto sulla testa. Credo quindi che questi due concetti siano
complementari e che una delle cose più eccitanti, almeno per me, sia
che è diventato tutto ad un tratto senso comune il fatto che tutti
si debbono prendere cura di
ognuno e del benessere collettivo nell’interesse di tutti.

Ora vorrei parlare del sito
5demands.global dove c’è un numero di telefono da chiamare per avere
consigli su come costruire lo sciopero dell’affitto nel proprio
quartiere. Ma è anche molto più di questo: ci danno la dimensione
del discorso sanità gratuita, stop al lavoro, alle rate dei muti, ai
debiti, libertà per i prigionieri, casa per tutti e tutte…

Frances e Walter fanno parte della
rete di solidarietà che anima questo sito, volete parlarci di come
il sito funziona da strumento organizzativo? Queste sono richieste
che di solito si pongono a chi è al potere ma una lotta come quella
del Rent Strike è anche un modo di implementare una di queste
richieste.

Frances:

Uno
dei nuovi strumenti che c’è nel sito è questa mappa del territorio
nazionale dove si possono vedere i gruppi ed organizzarsi per il Rent
Strike e i cinque punti: c’è appunto la possibilità di inserire i
propri dati ed apparire su questa mappatura. Per esempio se sei in
Oklahoma puoi cliccare sulla mappa e scoprire che c’è un gruppo,
Rent Stike Tulsa, che si organizza a Tulsa, Oklahoma, e puoi
trovarne i contatti. È ottimo il fatto che su questo sito puoi
trovare tutto il materiale che ti serve se stai prendendo in
considerazione di fare lo sciopero dell’affitto, passo dopo passo,
con una sorta di cassetta degli attrezzi, ed è molto basico: se non
avessi idea di cosa fosse una chiamata su Zoom o su Jitsi, Signal o
Telegram ci sono tutte le informazioni. Il sito ha un approccio molto
ampio, aperto a tutti, con infografiche molto chiare. E’ un modo per
la gente di collegarsi, essere connessi e costruire comunità, sento
che ha aiutato pure me dal punto di vista del coraggio, perché sono
stata molto isolata, e anche se non so se sarò in grado di sostenere
lo sciopero da sola ad aprile, sembra che la situazione possa solo
peggiorare a maggio e per allora probabilmente altra gente si unirà
al bisogno di rendere sicuro l’abitare. Non mi sento sola e se ho
delle domande rispondono molto velocemente.

Kye:

Voglio
solo dire che ho mostrato il sito ad amici e familiari e che i cinque
punti sono molto accessibili, li hanno trovati una fonte
d’ispirazione per poter raggiungere i loro vicini. Ora non saprei il
risultato di questo sforzo ma, insomma, anche per chi non è
introdotto a questo tipo di linguaggio risulta molto chiaro, è un
ottima piattaforma.

Walter:

Per
parlare brevemente del sito devo dire che è uno strumento
fantastico. Qui dove vivo abbiamo cominciato ad organizzarci riguardo
alle iniziative per il Rent Strike, molte persone diverse fra loro
hanno cominciato a stoccare risorse, molti sforzi erano raddoppiati,
e poi è venuto fuori il sito e dicevamo “Ah cool!
Vedi qua c’è proprio tutto”. Vedere questa mappa riempirsi
sempre più di posti e iniziative è utile e fonte d’ispirazione; ad
oggi ne conto 32 in tutto il Nord America, ed è attivo solo da
qualche giorno. Per risponderti riguardo al discorso dei cinque punti
e l’organizzarsi intorno ad essi come richieste ma manifestando per
essi allo stesso tempo: penso che siamo in questo buffo momento in
cui accade tutto insieme, cose che un paio di settimane fa sembravano
molto radicali adesso appaiono come senso comune. Possiamo finalmente
dire, molto chiaramente e a tutti, che è ovvio che dovremmo avere la
sanità gratuita per combattere con successo questa pandemia, è
ovvio che la gente non dovrebbe andare nei posti di lavoro dove ci si
trova esposti a
molti altri,
e non si dovrebbe andare a lavoro
malati, perché ciò diffonderebbe il virus più velocemente, ancora
più ovvio che chi è impossibilitato ad andare a lavoro, perché c’è
un’ordinanza che chiude le attività e perché bisogna stare a
casa, non dovrebbe pagare per le necessità di base, ancora più
ovvio che le prigioni siano il più grande vettore di propagazione
del virus e che mantenere le persone dentro, senza una protezione, è
una condanna a morte. Che chi
vive per strada dovrebbe avere un rifugio, e ci sono così tante case
vuote negli Stati Uniti. E quindi c’è questa cosa buffa che questi
punti sono presentati come domande ma è anche molto chiaro che il
governo federale e gli stati non stanno prendendo le decisioni
necessarie per proteggere le persone da questo virus. Sarebbe ottimo
se le autorità dessero una risposta riguardo queste domande ma è
chiaro che non lo faranno e quindi che sta noi agitarle. Anche ad
Hong Kong avevano 5 punti, e uno degli slogan era:  “5 punti, non
uno di meno”. Appena vinciamo lo sciopero degli affitti e
congeliamo mutui e rate in
tutto il paese, non avremo comunque finito, sarà solo l’inizio,
toccherà aprire le prigioni e le case per chi non ha dove vivere.

C’è un così ampio spettro
di cose che sono successe nelle ultime settimane che prima non
sembravano pensabili, così diverse fra loro in ogni territorio. Matt
tu parlavi di alcuni rilasci di prigionieri che ci sono stati…

Matt:

Si a
New York hanno rilasciato circa 600 detenuti, sto studiando le carte
e cercando i numeri dei rilasci che ci sono stati in Illinois, ma
sostanzialmente questi avvengono in molte aree. Poi c’è stata una
evasione a Washington se non sbaglio, e tutto ciò ovviamente è
legato ai timori rispetto al covid.

In questo programma radio per anni abbiamo parlato dei
problemi connessi alla detenzione di massa, la crescita del sistema
carcerario come strumento politico per colpire i movimenti di
ribellione degli anni 60…E’ stupefacente vedere come in poche
settimane la logica possa slittare così tanto e così velocemente
verso una prospettiva completamente diversa sugli eventi legati alle
prigioni e molti altri aspetti. Per tornare ancora al Rent Strike,
per concludere, hai detto che ci sono una trentina di posti segnati
sulla mappa dei nodi territoriali, da qualche parte ho letto che ci
sono già due milioni di persone collegate a questa piattaforma
politica, e molte iniziative collegate. Come pensate che andrà? Cosa
succederà per voi dal primo aprile e nei mesi a seguire?

Frances:

Su
questo posso dire che c’è molta esitazione, insomma questo sito è
apparso meno di una settimana fa, e sebbene ci sia molto interesse ci
vuole un po’ di tempo per conoscere i tuoi vicini e costruire queste
relazioni. È pericoloso scioperare da soli, cioè, non “pericoloso”,
ma rischi di certo più lo sfratto se lo affronti da solo, c’è del
potenziale nei numeri. Quindi credo che quello che vedremo sarà un
momento di costruzione di comunità, consapevolezza di avere
bisogno degli altri, fare esperienza del mutuo appoggio. Iniziare a
creare questi ecosistemi della cura, che sono così essenziali di
questi tempi, indipendenti da un mondo che adesso appare come un
ricordo lontano. Forse per il primo maggio ci saranno degli spazi
comuni in cui si deciderà di non pagare l’affitto non solo per
necessità ma anche per volontà, perché si capisca che chiediamo di
più…e continueremo a lavorare su questo aspetto.

Inoltre a livello federale è
successo molto rapidamente che molta gente che paga il mutuo sulla
casa di proprietà e molte grandi aziende abbiano dichiarato che non
pagheranno; ma non si capisce bene perché è uno scandalo quando lo
diciamo noi…

Walter:

C’è
una eco in quello che diceva Frances su come tutto stia velocemente
cambiando, ho sentito molte critiche da parte della sinistra
istituzionale o dei gruppi di inquilini organizzati da tempo, che
dicono che ci vogliono mesi e anni per organizzare veramente uno
sciopero dell’affitto, che è anche vero: ma viviamo in questi tempi
in cui accade tutto così velocemente, e il mondo cambia ogni singolo
giorno.

Una
delle prime cose che ho fatto quando ho cominciato a seguire questa
lotta è stata andare su questo canale telegram, che ora conta 14000
iscritti a livello nazionale, e in soli 5 giorni abbiamo assistito ad
una miriade di articoli della stampa mainstream, che parlano del Rent
Stike e del fatto che la gente non può pagare l’affitto. Io vivo
vicino a Seattle, e il consiglio comunale di Seattle ha appena
approvato una mozione che dice che bisogna sospendere affitti e mutui
a livello statale durante tutta la pandemia, e che non hanno la
possibilità di rinforzare questa mozione ma si appellano al governo
perché lo faccia. Si è trattato di un voto all’unanimità da parte
di un consiglio comunale che non è particolarmente radicale,
insomma. Questo slittamento del paradigma è di fatto avvenuto. Io
non so cosa succederà dal primo aprile, so che molta gente non
pagherà l’affitto perché non ha i mezzi per farlo e che aiuterà
altra gente a trovare le risorse e l’appoggio se devono affrontare un
confronto con i padroni di casa.

Volevo chiedervi, lo abbiamo
accennato prima, se qualcuno di voi ha notizie riguardo come la
pandemia sta colpendo le persone detenute nelle carceri

e nei centri di detenzione. Ci sono questi rilasci di
solito mirati, di qualche dozzina o qualche centinaio di persone…
Qualcuno è al corrente di quali siano i rischi che effettivamente si
corrono dentro le prigioni? Ovviamente l’accesso alla cura e le
condizioni di vita in queste strutture è notoriamente terribile, in
particolare qui in Illinois da dove trasmettiamo questo programma
radio.

Walter:

Alcuni
di questi aspetti sono così ovvi e chiari anche a chi non è al
corrente della situazione carceraria. I proclami che sentiamo dal
governo e dal sistema sanitario nazionale vertono sul distanziamento
sociale, stare a due metri di distanza, non avere contatti stretti
con le altre persone, sulla importanza di lavarsi le mani e
disinfettare l’ambiente circostante: è chiaro che in prigione e in
un centro di detenzione nessuna di queste cose è possibile. Sono
posti già sovrappopolati in cui la gente condivide spazi
piccolissimi, se una sola persona è infetta tutti saranno esposti.
Sappiamo che il sistema sanitario delle carceri è già orribile e i
detenuti non hanno già accesso alle necessità di base se non
attraverso iter complicati. Si tratta in sostanza di bombe ad
orologeria, ci sono casi a Rikers Island a New York e in un’altra
prigione della città, casi nelle prigioni dello Stato di Washington,
e si propagherà molto più velocemente rispetto alla diffusione
nelle città, dove quantomeno si possono applicare le misure di
distanziamento sociale. Vediamo spesso questi grafici con picchi e
curvature, immagini di come sarà brutta la situazione, e sarà solo
peggio nelle carceri e nei centri di detenzione a meno che non
facciamo uscire la gente di là.

Purtroppo è senso comune in molte situazioni di disastro in cui la
vulnerabilità e l’emarginazione sociale fa sentire gli effetti del
disastro in maniera più decisa su chi appunto è più vulnerabile ed
emarginato. Un disastro naturale è sempre complementare a quello
sociale preesistente.

Kye:

Nei
centri di detenzione sono già pessime le condizioni, è come stare
su una nave crociera (per la diffusione del virus) ma letteralmente
dentro
delle gabbie con altre centinaia di persone. Non è garantita
l’assistenza sanitaria e molta gente si è ammalata e morta, dei
bambini sono morti, solo con l’influenza normale prima di questo
virus. E adesso, con la velocità con cui questa malattia si sta
propagando, ciò vuol dire mettere a rischio la vita di centinaia di
migliaia di persone. Si registrano già casi di proteste, scioperi
della fame e altri gesti di ribellione. Dobbiamo capire come mostrare
nella pratica la nostra solidarietà.

Negli ultimi tre anni si sono coordinati scioperi del lavoro in
carcere, organizzati dagli stessi detenuti che lavorano in queste
strutture, sarà quindi interessante vedere come porteranno avanti
questa lotta le persone che già si battevano contro le condizioni
atroci in cui erano abbandonati, quale sarà la loro risposta…Ma
anche fuori dalle carceri, assistiamo a una miriade di organizzazioni
di appoggio che portano avanti questa istanza legata a uno dei 5
punti di 5demands.global. Il punto relativo al carcere è dunque
collegato a quello sullo stop al lavoro. Il primo aprile ci sarà
anche un “Sick Out” -un giorno in cui i lavoratori non si
presentano a lavoro per protesta dichiarandola malattia-  per la
catena “Whole Food” a livello nazionale, e inoltre i lavoratori
della
General Electric hanno incrociato le braccia, non
perché volessero delle paghe più alte ma per chiedere di convertire
la produzione nella costruzione di respiratori: questo è un fatto
direi sublime, stanno rischiando il loro lavoro, mettendosi in gioco
in questa azione collettiva, a beneficio di tutti gli altri, di noi,
dichiarando che hanno le capacità e le possibilità di fabbricare le
cose di cui abbiamo bisogno per affrontare questa crisi. Volete
aggiungere altro? Anche ad Amazon stanno organizzando qualcosa,
giusto?

Walter:

Il
31 marzo i lavoratori di Amazon e di Instacart hanno incrociato le
braccia, con una serie di scioperi a gatto selvaggio su tutto il
territorio nazionale, richiedendo migliori condizioni di lavoro e la
sanificazione degli ambienti. Uno dei loro punti di forza è il fatto
che tutta questa gente, come anche i riders delle consegne e i
commessi degli alimentari, che prima erano visti come totalmente
marginali e non importanti e che non avevano voce nei media
mainstream, tutto ad un tratto vengono definiti eroi, ma continuano a
non avere le malattie pagate, e lavorano in condizioni più precarie,
maggiormente esposti al rischio di contagio. Ho molta fiducia in
questa nuova ondata di effervescenza di lotte sul posto di lavoro, la
gente si organizza e dice. “Noi vogliamo aiutare le persone, è
importante per noi e allo stesso tempo vogliamo lavorare in
sicurezza, lo possiamo fare insieme, in modo migliore di come sta
avvenendo, e di come lo fanno i padroni”.

Sarà molto interessante vedere gli sviluppi se la situazione dovesse
andare avanti così, e a quanto pare lo farà. All’inizio della
settimana Trump caldeggiava l’ipotesi di tornare alla normalità ed
aprire alcuni settori produttivi: ciò sembrava troppo anche per lui.
Dobbiamo quindi aspettarci altri provvedimenti sul restare a casa e
sul distanziamento sociale almeno fino a giugno. Questa è tutta una
nuova realtà e ne vedremo le implicazioni.

Per
concludere, come pensate che ciò incida sulla trasformazione dei
poteri negli Stati Uniti, nel governo e nell’economia? Sono
speculazioni per ora, ma qualcuno ha suggerito che queste grandi
aziende informatiche, che tra l’altro operano i servizi con cui la
gente comunica adesso più che mai e il servizio grazie al quale
siamo in onda adesso, spingono per prendere il potere in modo
spaventoso. C’è chi approfondisce questo tema da molto tempo, il
modo in cui la Silicon Valley sta programmando un mondo e inventando
un futuro in una modalità che il governo non riesce neanche a
concepire. Come pensate che la pandemia influenzi questi grandi
attori di trasformazione in uno slittamento epocale che rialline
erà
queste strutture del potere?

Frances:

Stiamo
già vivendo nel futuro, è fantastico che sia già stato studiato da
qualcuno questo aspetto perché sono cose che sembravano assurde fino
a poco tempo fa. Fa paura pensare che questo accadrà con i grandi
giocatori di questa partita come Amazon, Google, ecc, essi avranno
successo se non saremo capaci di organizzarci e difenderci per conto
nostro, provvedendo a delle basi reali per le comunità che
nullifichino
la necessità dell’approvazione del governo. Semplicemente perché il
governo non è stato in grado di gestire la crisi e la cura della
popolazione, e perché la gente si aiuta a vicenda durante la
pandemia: se non avremo successo nel fare ciò la disperazione che
c’è dall’altra parte, tutta la morte e la disperazione che ne uscirà
fuori sarà semplicemente sussunta da queste compagnie da chi si
rivolgerà a loro per avere risposte. Ma la tecnologia è anche la
stessa che ci ha permesso tutta questa organizzazione: ero seduta
davanti al computer, connessa con altre persone per coordinarmi e
cercare di dare un senso a questo mondo, posso farlo dalla mia sedia.
Sono dipesa dalla tecnologia in un modo in cui non mi era mai
capitato prima. Siamo dunque in questa strana posizione in cui la
gente si organizza con altra gente ma lo fa anche attraverso queste
tecnologie: toccherà usare questi strumenti senza rimpiazzare il
lavoro genuino dell’interazione umana
che è cura, affetto e comunità che può solo venire dai corpi.
Forse è una risposta un po’ romantica alla domanda, ma non voglio
caldeggiare uno scenario apocalittico in cui diventiamo tutti dei
robot o in cui la sorveglianza tecnologica controlla rigidamente
tutto cercando di impedire che accada qualcosa di nuovo. Bill Gates
prefigurava scenari di pandemia mesi prima dell’avvento di essa in
Cina, lo stanno già facendo e non sta funzionando, non eravamo
pronti. Diamo tutti una sponda a questi discorsi, anche sui robot: è
la gente che li disegna, li fabbrica e li mette in circolazione, che
li controlla. Penso ci sia un modo per continuare a ribellarci e
sabotare la missione di queste aziende, grazie a queste ondate di
scioperi, che continuino a farle correre.

Kye:

Aziende
come Google hanno usato i loro strumenti per tracciare le possibilità
di contagio, fornendo dati alle autorità su chi ha violato o meno il
distanziamento sociale attraverso altri servizi apparentemente utili
e “amichevoli” come la geolocalizzazione per le app di traffico
che ci informano su dove sia un ingorgo per evitarlo. Questa crisi
sta dando loro spazio di legittimazione in un modo molto insidioso
per
invadere la nostra privacy, con tutta quella produzione “positiva”
di contenuti e mezzi per metterci in contatto con gli amici,
condividere video e musica ecc. Non voglio che la tecnologia renda il
mio corpo e l’ambiente in cui vivo futili.
Sono vivo e mi sento vivo con le altre persone e questo mi
spinge a interrogarmi su come ci connettiamo, in questo momento e
quando la situazione diventerà ancora più spaventosa.

Matt:

Ho
riflettuto molto su questa idea di timore rispetto a come il potere
usi questo momento per una nuclearizzazione ed atomizzazione degli
individui e delle entità familiari, in una sorta di forza
super-isolante, in cui partecipiamo e creiamo queste “piazze” che
non hanno però le basi solide per permetterti di fraternizzare con i
colleghi di lavoro in una modalità non supervisionata. Dobbiamo
veramente riuscire a lottare, in questo momento, per sconfiggere
questa potenziale svendita degli individui e delle unità familiari a
beneficio di entità povere di contatto e interazione, per paura del
virus usato sempre più come arma contro di noi, non che lo sia in
sé, ma che il momento possa essere trasformato in un’arma.

Si tratta di una riorganizzazione che conosciamo dal concetto di
capitalismo
dei disastri, di
come i disastri vengano utilizzati come modi di ristrutturazione e di
imposizione di condizioni altrimenti inaccettabili, ma che diventano
a un certo momento necessarie: quando rinunci temporaneamente ad una
libertà non necessariamente poi torna indietro. Dobbiamo tenerci
stretta una socialità non mediata dagli schermi: per quanto tu sia
in quarantena puoi sempre affacciarti sulla tua veranda, aprire le
finestre, ci sono insomma modi per raggiungere gli altri, ho visto
immagini di gente che organizza il Rent Strike parlandosi dalle
verande, mi pare fosse a Chicago. Non dobbiamo dimenticarci che
abbiamo la capacità di connetterci tra di noi con un po’ di
distanziamento fisico, e ciò può ancora essere normale. Non
rendiamolo il momento in cui

c’è un terribile futuro in cui questo era un passo sulla strada
della costruzione di Matrix,il momento in cui ci siamo tutti
ritrovati davanti ad uno schermo 24 ore su 24, e in cui era facile
creare un mondo virtuale
dove
siamo più soddisfatti e ci sentiamo più al sicuro. Non lasciamo che
questo scenario da incubo si realizzi.

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