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A chi c’è stato, a chi ancora non c’è

un contributo per le strade di Roma

  • Fatti oltre le considerazioni
  1. Chiunque può fare delle considerazioni, ma qualunque considerazione necessita di alcuni fatti.

Un dato, che coincide anche con un problema collettivo, è che l’agibilità politica per le strade del centro di Roma, con i propri contenuti e senza la mediazione di sceriffi, si scontra sistematicamente con una repressione di piazza apparentemente paralizzante. Si chiama pace sociale, la normalità del mondo occidentale alla quale siamo abituati e che reprime tutto ciò che la interrompe. La pace non è altro che il silenzio della guerra. La guerra che del mondo sta scomponendo gli equilibri. Infine, non sono tanti i momenti in cui è possibile riuscire a portare in strada la tensione che ci anima in quanto compagnx, solidali o semplicemente persone sensibili all’apatia di questo mondo. Agire è aprire a nuove condizioni di possibilità, per chi vuole esserci ancora, chi vuole rompere il silenzio, per chi ancora non c’è.

  1. Ilaria Salis in carcere, Gabriele e l’estradizione, altre ricercate, altri arrestati.

Dopo un anno, il 10 Febbraio a Roma, è stato convocato un corteo cittadino su questa vicenda. Lo diciamo subito: nulla di eccezionale, siamo ai minimi storici. Il dato è il fatto in sé. Quanto accaduto il 10 da un lato palesa delle regole, dall’altro conferma delle eccezioni. La regola è la politica e la sua polizia, l’eccezione è chi li sfida.

  1. Ore 14:30, metro Policlinico, numero di persone: 200 circa.

Lo striscione recita: dall’Ungheria alla Palestina: free them all. Situazione fredda, piovosa, poi qualcuno scende dal marciapiede, si apre lo striscione e si punta l’ambasciata ungherese. Pochi attimi, cori, e il resto è quello che si è detto: arrivati sotto l’ambasciata la polizia ha chiuso ambo i lati. Impossibile proseguire come corteo, probabilmente volevano che la manifestazione finisse in quel momento. Gli sceriffi prima intimano di voler vedere il volto di ognuno sennò non fanno proseguire il corteo, poi pretendono di vedere gli zaini, la verità è che sono frottole. La verità è che quella manifestazione non volevano manco iniziasse. Nessuno zaino verrà aperto, nessun sorriso verrà svelato. Chi vuole uscire da solo può farlo, e infatti qualcuno lo fa. Molti rimangono, tanti cantano, soprattutto lx più giovanx.

  1. Un posto scomodo.

È tanta la polizia, tantissima la pioggia, più la pioggia ma tanta polizia. Lo stato mentale collettivo è confuso, difficile trovare un posto in quella situazione. L’intelligenza collettiva non è una capacità di piazza che si congela e scongela quando più lo si ritiene opportuno, sarebbe bello. Sarebbe comodo. L’intelligenza si pratica, si esercita, si affina. Il disorientamento è una condizione dettata dalle nuove condizioni, si verifica quando ci si trova in un luogo che non si conosce. Piove e non c’è abitudine alla piazza. La situazione più volte sarebbe potuta essere paralizzante, ma fra chi ha rotto l’immobilismo scendendo dal marciapiedi, chi ha rotto il silenzio alzando un coro, chi ha dato un significato ai muri bianchi… nelle difficoltà se n’è usciti insieme, paralisi non c’è stata. Tutto è avvenuto nell’intelligenza della collettività e nella sua goffaggine.

  1. Tana o trappola all’ambasciata? Eppure fu un corteo.

Spaesamento, paura, incertezza di ciò che può accadere, sono i sentimenti che hanno attraversato la giornata, in generale è stata una situazione scomoda. Sul concetto di comodità si potrebbero fare ulteriori considerazioni, fatto sta che la maggior parte delle persone ha scelto di rimanere lì, sotto una pioggia battente, fra persone che la maggior parte non si conoscevano, unite dalla condizione scomoda e la causa che li ha portati in quella via. Essere più avanti ha significato tutelare chi fosse più indietro; essere dietro ha significato supportare chi fosse più avanti: a contatto, in ogni caso si è proceduto a contatto l’uno con l’altra.

Tante le considerazioni possibili, molti sono stati i limiti di piazza e per questo riteniamo sia di fondamentale valore prendersi del tempo per delle analisi che possano essere strumento per tuttx. La consapevolezza è che quella giornata ha espresso dei fatti, sperimentato la condizione delle possibilità sulle quali ognuno può porre delle considerazioni.

All’interno dei fatti proviamo a porle anche noi delle considerazioni, nella fiducia che queste parole possano intercettare delle tendenze che riconosciamo genuine nelle lotte che attraversano questa nostra città. Riteniamo essenziale coltivare una lucidità strategica al netto degli errori, degli scenari non previsti, di quelli previsti ma incapaci da arginare.

  • Considerazioni oltre i fatti
  1. I numeri servono a contare (1, 2, 3, 4, e così via).

I risultati invece crediamo si misurino sulla base dei presupposti che ci si pone. Era importante porre una questione, quindi fare un corteo. Sperimentare la scomodità della mancanza di abitudine, esercitarla per conoscerla. Il dato che traiamo consiste nell’aver fatto esperienza di una possibilità: se è vero che la controparte ha tutte le forze necessarie per chiudere ed aprire quando vuole, sciocco sarebbe pensare di affrontarlo frontalmente, accomodante pensare che nulla sia possibile. I fatti, seppur nella loro parzialità, scomodità e con i propri limiti, hanno una capacità di trasformazione in più delle considerazioni. A partire da ciò vediamo un valore in chi, nonostante tutto, provi a fare.

  1. Elogio della pazienza.

I reparti possono determinare le strade in modo definitivo, ma hanno meno margine sul nostro stato d’animo. Un elemento di forza è stata la pazienza di attendere, il disinteresse nei confronti del tempo, quindi la capacità di ridurre i rischi di una forzatura senza cedere al ricatto della controparte. Coraggio o autotutela sono parole che potrebbero forse risuonare a sproposito. Ma il dato è che da quella situazione se n’è usciti collettivamente, con la forza della pazienza sfruttando la debolezza dell’arroganza. Crediamo che il coraggio sia una dimensione collettiva, una virtù individuale che si impara collettivamente. Vivere tali momenti, è ciò che la controparte vuole impedire. Poichè sanno, poiché sappiamo, che si libera chi agisce insieme. Lo stato d’animo, anche nei suoi momenti più incerti, è rimasto collettivo, sereno, e capace di liberarsi nei momenti opportuni: nelle scritte, nei cori, arretrando senza perdere contatto.

  1. Scegliere, agire, offendere: un ragionamento sulla dignità.

Durante la carica della polizia due persone sono rimaste ferite. Non è stato riportato nei fatti un po’ per caso, un po’ per scelta. Vogliamo rompere con il vittimismo come lente politica, con l’indignazione che tiene unita la società della pace. È un’indignazione miope quella che nasce dal sangue dei manganelli, dalle migliaia di morti palestinesi, dalle decine di morti nelle carceri italiane. Il problema non è la morte ma la vita. I morti, come il sangue, sono una conseguenza della società dei vivi. La morte è una tragedia irreversibile, la vita permette fatti, considerazioni, scelte. Siamo contro: innocentismo, vittimismo, pacifismo e guerra. Vogliamo recuperare la capacità di riconoscersi non solo come vittime, ma come persone che possono scegliere, agire, offendere. Nella cornice attuale in cui ci muoviamo, dove la violenza è strutturale e la brutalità è poliziesca, vogliamo credere nella dignità di chi resiste, recuperare la capacità di essere offensivi. Mai per culto. Sempre per necessità collettiva di intendere la vita a partire dalla libertà.

  1. Una strategia più ampia, asimmetrica, che si libera del tempo.

Vogliamo allungare le giornate, aumentare le condizioni di possibilità, in cui riusciamo a rovesciare la gestione ordinaria della normalità, la dittatura del presente. Allungare le giornate significa non accomodarsi sull’obiettivo minimo. Non si tratta di portare a casa la giornata, bensì di costruire delle giornate che permettano la sperimentazione, l’intelligenza, la fantasia. Vogliamo coltivare la fiducia nella capacità di attendere con intelligenza, perché crediamo possa preservare maggiori possibilità. Se per la controparte è molto facile delimitare lo spazio per noi è importante esercitarci a liberarci del tempo.

  1. Rompere il silenzio, discutere, riconoscersi.

Per rompere il silenzio della guerra riteniamo sia necessario continuare a incontrarsi in contesti organizzativi e ritrovarsi nelle strade. Se da una parte la pace è ciò che ci rende irrequieti, dall’altra l’irrequietezza è ciò che ci rende scomposti. Per tradursi in agibilità politica, essa ha bisogno di affinarsi, di essere coltivata, di commettere degli errori e da essi ripartire con rabbia e responsabilità. Questo testo non vuole essere esaustivo o impeccabile, quanto suscitare un dibattito, un riconoscimento all’interno dei limiti. Per questo crediamo siano importanti anche le assemblee e i momenti collettivi per discuterne, conoscersi, incontrarsi, rafforzare le proprie esperienze e ridurre i limiti. Sono anch’essi momenti di organizzazione e conoscenza.

  • Oltre le considerazioni e i fatti

Dunque, non resta che ritrovarci, oltre le considerazioni, oltre i fatti. Ricondividiamo due appuntamenti:

Il 3 marzo davanti al CPR di Ponte Galeria, lontanissimo dagli occhi della società indignata, perbene e pacifica, soprattutto per la liberazione delle 13 persone arrestate per le rivolte all’indomani della morte di Ousmane Sylla. Coglieremo quella giornata per portare solidarietà anche a chi, tra qualche tempo, dovrà affrontare nell’aula grigia di qualche tribunale la vendetta di Stato per la manifestazione “NO BORDERS” svoltasi al Brennero nel maggio 2016.

Per sabato 23 marzo, abbiamo intenzione di rivederci in strada per chiedere la liberazione di Ilaria, Gabri, e tuttx lx antifascistx detenutx, latitantx, per i fatti di Budapest. Contro la guerra, contro la pace. L’invito diffuso è quello di coltivare ciò che è stato iniziato, contro la guerra e contro la pace, nella sperimentazione delle collettività che resistono alla rassegnazione e alla comodità. Crediamo che ciò sia possibile, abbiamo fiducia in chi ancora sogna l’incubo di questo mondo perbene.

Ci vediamo presto.

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