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Starlink, LSD e Sillicon Valley – Elon Musk in the Sky with Diamonds

Jonathan Bourguignon

Internet non è semplicemente una rete. Possiede una filosofia politica,
ancorata a standard e protocolli (“code is law”).
Tale filosofia vuole che un messaggio veicolato dalla rete non possa
essere discriminato per il suo contenuto, la sua fonte o la sua
provenienza.

Si può quindi quasi intravedere una forma di trascendenza, quando un
messaggio twitter giunge a commentare la maniera nella quale esso stesso è stato veicolato dalla rete. Questo messaggio, datato 22 ottobre 2019, è laconico: “Sending this tweet throug space via Starlink satellite 🛰”. E’ firmato Elon Musk, fondatore di SpaceX, i cui razzi Falcon sono
in meno di due decenni diventati un mortale nemico per Ariane l’Europea e Soyuz la Russa.

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I satelliti Tintin A e Tintin B, messi in orbita quel giorno, sono i minori di una figliolata che contava già il 17 febbraio 2020 trecento rampolli, portati nello spazio in sette lanci di razzi vettori. I suoi ranghi dovranno ingrossare fino a dodicimila satelliti nell’arco di cinque anni. A ottobre 2019, SpaceX ha prenotato la concessione di frequenze per ulteriori trentamila satelliti. Il nome di questa nuova costellazione: Starlink. La sua missione: portare la connessione a banda larga nelle regioni più arretrate del mondo. La controversia che agita: Starlink potrebbe sfigurare il cielo delle nostre notti estive.

Ma Starlink ha come visione un mondo senza frontiere, dove le ineguaglianze tra ambienti rurali e iper-metropoli, tra paesi ricchi
e paesi emergenti, tra democrazie e regimi totalitari, verrebbero annullate dall’accesso alla rete. Perché la rete, l’accesso all’informazione, fanno cadere le barriere e possono restituire a
coloro che connettono il controllo sulle proprie vite. Secondo un
altro tweet di Elon (e se qualcuno non fosse ancora sicuro di avere
compreso il riferimento, al di là del ricorso alla parola “star”),
Starlink trae il suo nome da un romanzo per adolescenti che cita il
Giulio Cesare di Shakespeare:

The fault, dear Brutus, is not in our stars,

But in ourselves, that we are underlings.

(La colpa, Bruto, non è nelle nostre stelle,

Ma in noi, se siamo dei servi.)

Tra l’ottobre 2019 e noi, ci sono diversi mesi di pandemia. I tweet di
Elon Musk sono lungi dall’avere perso viralità nel frattempo, ma hanno alimentato piuttosto il dibattito sulla clorochina, la produzione di maschere o di respiratori. L’astronomia, attività non essenziale alla vita della nazione, è in confinamento, come il controverso Starlink. Tuttavia, dal momento che in Europa e negli Stati Uniti si discute di applicazioni per ricostruire le catene di trasmissione del virus (un eufemismo per parlare di tracciamento), e che la Cina e i dragoni asiatici traggono il bilancio lusinghiero dei loro sistemi di sorveglianza di massa nella lotta contro l’epidemia, Internet è al cuore della battaglia. E, al ritmo di circa un lancio al mese – il nuovo il 23 aprile – Starlink continua a piazzare i suoi satelliti nella ionosfera.

Ma prima di parlare di virus e sorveglianza, occorre comprendere il
conflitto iniziale tra partigiani delle stelle e partigiani della rete, e risalire alle origine della visione dei nuovi coloni del cielo.

Le costellazioni compulsive

Starlink è stata annunciata nel gennaio 2015, quattro anni prima che i
satelliti Tintin A e B scoprissero lo spazio. Quattro anni per pianificare lanci a grappoli di sessanta, concepire satelliti capaci di rettificare la loro posizione dopo la messa in orbita, definire protocolli di comunicazione tra satelliti e con la Terra, definire i terminali-recettori sul suolo terrestre, ottenere le licenze e le autorizzazioni degli organismi regolatori delle telecomunicazioni e dei lanci spaziali. Quattro anni, una prodezza inverosimile. Una prodezza che ha preso alla sprovvista la comunità civile e scientifica.

Perché quattro anni non sono bastati alla comunità internazionale per
realizzare quanto si stava preparando: una costellazione di decine di
migliaia di oggetti, sfreccianti ad alta velocità nel cielo. La loro
intensità luminosa in una notte d’estate sarà comparabile a quella della stella polare, uno dei corpi più luminosi della volta celeste, in ragione della loro orbita bassa a circa cinquecento chilometri dalla superficie terrestre. Come paragone, fate conto che i satelliti geostazionari, dall’alto delle loro orbite dieci volte più lontane, sono quasi invisibili. E sono solo cinquemila. Considerate anche che tra gli otto e i diecimila aerei solcano i cieli a ogni istante – salvo che in tempo di pandemia – lasciando nel cielo di giorno quelle lunghe scie che hanno alimentato le teorie cospirazioniste più folli. Questi aerei, di notte, non riflettono il
sole, dalla loro ridicola altitudine di dieci chilometri. Secondo le previsioni dell’Associazione Internazionale del Traffico Aereo, il
loro numero dovrebbe raddoppiare entro i prossimi vent’anni. Se il
cielo diurno fosse stato sfigurato in questo modo da un giorno all’altro, forse un dibattito avrebbe agitato la società civile, ma, come la proverbiale goccia sulla pietra, questa evoluzione noi l’abbiamo assimilata senza protestare, e abbiamo continuato a preferire l’aereo ai treni e ad altri hyperloop (un ulteriore progetto futurista dello stesso Elon Musk, nel quale la ferrovia è rimpiazzata da un tubo magnetico sotto vuoto). Per figurarvi l’impatto di un tale mutamento della volta celeste sulla psiche umana, ricordatevi della scena del Re Leone dove un padre azzarda una metafora della vita e della morte mostrando le stelle a suo figlio. Ora, immaginate nella stessa scena delle stelle che
corrono in tutte le direzioni in un balletto frenetico e disordinato
(se non siete cresciuti con Disney, rimpiazzate pure il leoncino con
il/la vostro/a primo/a amichetto/a, e traslate la savana in un
drive-in o dove vi pare).

Nel conflitto che tradizionalmente oppone tecnica e poesia, non crediate
con Heidegger che la scienza si schieri sempre a fianco della tecnica. La comunità scientifica è stata la prima a lanciare l’allarme. E si capisce, guardate le tracce che i duecento satelliti di Starlink in orbita all’epoca già lasciavano sulle istantanee di un telescopio puntato su Deneb nella costellazione del Cigno.

Non vi resta ora che immaginare l’impatto sulla volta celeste di quarantamila satelliti in orbita ravvicinata attorno alla Terra per capire l’inquietudine degli astronomi e astrofisici. All’inizio di febbraio 2020, già millesettecento scienziati avevano firmato un appello a “salvaguardare il cielo astronomico”. Il “cielo astronomico” è la possibilità di ascoltare i più flebili segnali provenienti dal cosmo, su frequenze che coprono il visibile, ma anche le onde radio sulle quali la flotta di satelliti ha ottenuto le autorizzazioni ad emettere. Come provare ad ascoltare una lettura di Rimbaud al Berghain. In nome della connessione a banda larga l’umanità potrebbe perdere la sua capacità di comprendere le origini dell’universo, di scoprire particelle sconosciute e pianeti lontani, di scovare messaggi extraterrestri, o di predire le traiettorie di asteroidi-killer, lasciandoci tanto vulnerabili quanto lo furono i dinosauri.

In una parola: in nome della rete e della connessione, l’umanità
potrebbe perdere il suo legame con il cosmo, il legame originario che
l’ha spinta a trascendersi per sviluppare le matematiche e la scienza. In nome della rete, o in nome di un business molto remunerativo? Come possono i meccanismi democratici e le istituzioni internazionali essere deperiti al punto che non è mai emerso un dibattito pubblico? Questo progetto che minaccia di storpiare la scienza e probabilmente di dirottare milioni di uccelli migratori, è l’opera di un cinico che pretende di privatizzare lo spazio, o di un apprendista stregone che ha ignorato le conseguenze dei suoi atti?

Silicon Messiah

Se vi è sulla Terra un uomo al quale non si può rimproverare il suo
cinismo, o di non guardare le stelle, è proprio Elon Musk. Un indizio, il secondo tweet veicolato dai fratelli Tintin in orbita: “Whoa, it worked!”. Una prosa quanto meno sommaria che tradisce la gioia infantile e gli occhi pieni di stelle del Messia della Silicon Valley.

La sua traiettoria ventennale rivela un idealista, un visionario con una
capacità pressoché incredibile di realizzare questa visione. Il cinismo, l’appetito del guadagno non giocano alcun ruolo in lui. Tutt’al più gli si potrà rimproverare un uso un po’ abusivo del twitter, e di aver ispirato il personaggio interpretato da Robert Downey Jr nell’adattamento cinematografico di Iron Man, il cui successo è responsabile della sequenza di sbancamenti del box-office da parte dell’etichetta Avengers, che solo il COVID-19 avrà saputo interrompere per qualche mese.

Per la cronaca. Elon sbarca nella valle a venticinque anni, e mette su con il fratello una prima startup. Nel 1999, vuole usare Internet per minare il monopolio delle banche. Incontra Peter Thiel, che ambisce a creare una moneta digitale indipendente dalle banche e dai governi, dieci anni prima di Bitcoin. Il loro matrimonio dà vita a Paypal. Paypal viene comprata, e Musk reinveste tutti i suoi guadagni nei due progetti che, all’epoca, gli valgono solo ironie: Tesla, che pretende di riuscire a imporre l’automobile elettrica, laddove tutti i giganti del settore avevano fallito nei vent’anni prima di lui. E SpaceX, che rilancia nientemeno che la conquista di Marte. Vent’anni dopo, Tesla si pensa come un sistema olistico destinato alle città per ottimizzare l’utilizzazione delle energie
rinnovabili. SpaceX è un successo industriale, al punto che i suoi
razzi non servono più solo a lanciare i satelliti dei suoi clienti: largo a Starlink. Nel frattempo, Musk ha fondato una mezza dozzina di altre imprese od organizzazioni, tra cui Hyperloop, della quale dicevamo prima, OpenAI, che promette l’intelligenza artificiale, e Neuralink, che cerca di interfacciare il cervello umano e le AI. Starlink: l’interconnessione tra le macchine, ovunque. Neuralink: la
connessione della macchina all’umano. Starlink e Neuralink: il
compimento dell’umano in quanto essere connesso, amplificato,
rivelato. La grande visione della Silicon Valley.

Perché la rete, la connessione, il controllo, nell’inconscio collettivo della valle, è il progetto dei progetti. Google rende l’informazione
disponibile. Facebook connette le persone. Burning Man (il festival
annuale a Black Rock, nato nel 1986 sulla Baker Beach di San Francisco e appuntamento topico per la tech community della Silicon
Valley, NdT) si definisce anzitutto come una rete d’individui risvegliati. Il temine “hive mind”, letteralmente “spirito d’alveare”, era a suo tempo utilizzato dagli hippies per descrivere le connessioni trascendentali percepite nelle loro trances collettive. Riappare oggi per descrivere la coscienza collettiva che emerge da comunità online come Twitter. Allora, Elon: cinico o apprendista stregone?

Nessuno dei due. Elon Musk è il messia della grande attesa del risveglio. La rete, ciò che deve aprire le porte della percezione. La rete, è il mito che trova le sue radici nella contro-cultura degli Anni Sessanta, e che ha ormai trovato il suo Messia.

Acidi, comuni e internet

Alcuni potrebbero pensare che la Silicon Valley e la contro-cultura non
condividano altro che una geografia, quella della baia di San Francisco. E questa geografia d’altra parte non sarebbe che approssimativa, considerato che la valle ha cominciato all’estremo sud della baia, a San José, mettendoci decenni per arrampicarsi fino a San Francisco, culla degli hippies. Al principio degli anni 2000, spazza via i resti di movimenti free love/free food/free speech che potevano ancora restare a Haight Ashbury, facendo esplodere il costo della vita. E tuttavia, hippies e hackers sono molto più vicini di quanto sembri.

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Per cominciare, Internet e contro-cultura sono figli di una stessa madre:
the Army, l’esercito americano. Nel primo caso, non è difficile risalire la Storia: nel 1969, la rete ARPANET, antenata d’Internet, è operativa. I suoi due primi nodi saranno le università della UCLA e di Stanford, situate nella Silicon Valley (e il primo messaggio trasmesso, ben più austero che un tweet di Elon Musk, sarà il “lo” di login).
Nel secondo caso, occorre esplorare un ospedale per veterani dell’esercito americano, a Menlo Park, all’inizio degli Anni Sessanta. E’ in quest’ospedale che lo scrittore Ken Kesey scopre l’LSD (e altri psicotropi) partecipando a un programma di ricerca finanziato dalla CIA. Questo episodio gli ispirerà Qualcuno volò sul nido del cuculo,
e la retorica del controllo. Quella retorica lungamente descritta da
Tom Wolfe in Acid Test: le porte della percezione sono chiuse all’Uomo moderno. L’Uomo moderno deve imparare a riaprirle per liberarsi e riprendere il controllo su sé stesso e il suo ambiente. L’LSD permette di aprire le porte della percezione.

Da allora, l’LSD assume un ruolo fondante nella mistica hippie, e Kesey ne sarà uno dei grandi apostoli. Kesey s’imbarca su uno scuola-bus fluorescente con la sua banda dei Merry Pranksters per promuovere l’LSD in giro per gli Stati Uniti, poi nella baia di San Francisco. L’avanguardia del rock psichedelico, The Grateful Dead, emergerà da questa scena. Le gigantesche feste che organizzeranno nella regione, gli acid tests raccontati da Wolfe (“acid” era la contrazione di dietilamide
dell’acido lisergico
, o LSD), dilagheranno in tutta la baia. Per il resto, la coscrizione per la guerra del Vietnam finirà di cementare i movimenti di
contestazione della fine degli Anni Sessanta.

Negli anni seguenti, questi movimenti fioriscono sotto forma di comuni. Se le comuni propongono un ritorno alla terra e un rifiuto del capitalismo, esse vedono la tecnologia come una delle chiavi della
riuscita della loro impresa. L’interconnessione, la condivisione di
saperi e l’aiuto reciproco – ossia la rete delle comuni – giocano un ruolo chiave nella propagazione di quelle tecnologie. Uno degli strumenti faro di questa rete: il Whole Earth Catalog, la cui versione del 1971 fu stampata in più di un milione di esemplari. Il catalogo collezionava tanto dei modelli di rocchetti per filo di lana che schemi di balestre, accanto a libri di architettura e di teoria delle organizzazioni. Sulla copertina dell’edizione del 1969 appariva il bus psichedelico dei Merry Pranksters.

E sulla prima copertina del catalogo, che gli diede il titolo (Whole Earth), una fotografia della terra. Questo clic era il risultato di una campagna condotta nel 1966 da Stewart Brand, il futuro fondatore
del Catalogo, perché la NASA pubblicasse per la prima volta una foto del globo terrestre visto dallo spazio nella sua interezza.
L’ambizione di questa immagine era di veicolare l’idea di una Terra condivisa da società umane interdipendenti, in rete, e di risvegliare le loro coscienze ai problemi sociali e ambientali (ci si può chiedere se la stessa sfera circondata da una nube di satelliti avrebbe la stessa potenza evocatrice).

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A quel tempo, nel sud della baia di San Francisco, Internet si andava
sviluppando all’interno dei centri di ricerca militare e universitari. La rete si organizza sotto il prisma del pensiero cibernetico. Questa rappresentazione del mondo modellizza umani e macchine come sistemi le cui interazioni sono definite da scambi d’informazioni. Tali sistemi funzionano in maniera ottimale quando l’informazione circola liberamente. Questa libertà non accetta gerarchie, né centralizzazione. In altre parole: la struttura d’internet è profondamente anarchica.

Nella baia, mentre Internet prende il suo slancio, le comuni declinano. Gli hippies non muoiono: si reintegrano nella società capitalista e nel
nuovo paradigma informatico. Fred Turner, professore di storia a Stanford, ricostruisce le loro peregrinazioni nella sua opera From Counterculture to Cyberculture: come nel caso di Stewart Brand, l’autore del catalogo e della Terra rotonda, che fonda il WELL, una sorte di comune (o forse si comincia allora a dire “comunità”) online che diventerà uno dei primi fornitori di accesso a Internet. Altro membro fondatore del WELL: Larry Brilliant, poi diventato epidemiologo di fama, e perciò alla ribalta dall’inizio della della crisi del coronavirus. I creatori di applicazioni di backtracking della valle non esitano a invocare il suo nome per giustificarsi.

Ma restiamo negli Anni Ottanta con Fred Turner. Brand e Brilliant
saranno raggiunti al WELL da altri hippies di primo piano, come il
vecchio paroliere di The Grateful Dead, proprio quelli che fornivano
la colonna sonora agli acid tests un decennio prima. Tutti partecipano a Wired, la rivista cult dei tecnologi degli anni 90 e seguenti. Su questa transizione, Stewart Brand sentenzierà: “gli psichedelici, le comuni, i templi di Buckminster Fuller si sono rivelati un’impasse. Ma i computer, ecco un viale verso reami al di là dei nostri sogni più folli”.

Perché gli hippies si reintegrano, ma non dimenticano il loro passato. Un indice dell’importanza per la valle del While Earth Catalog, quella
bibbia della contro-cultura? Il più famoso discorso di Steve Jobs, quello tenuto nel 2005 agli studenti di Stanford, si sofferma sul messaggio: “Stay hungry. Stay foolish.” Il messaggio d’addio impresso sul dorso dell’ultima edizione del catalogo, nel 1974. Ogni comunicazione di Apple ai suoi inizi era infusa di contro-cultura, nutrita di anti- enstablishment, una diatriba contro il conformismo e la burocrazia. Il primo spot pubblicitario televisivo del brand, nel 1984, intitolato 1984,
è affidato al da poco regista di Blade Runner, a sua volta ispirato a un racconto del più eminente scrittore di science-fiction della contro- cultura, Philp K. Dick.

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Tutta l’industria del silicone segue l’esempio e cerca di ascriversi alla lotta contro l’asservimento dell’individuo. Fino ad arrivare a IBM, più un’icona della burocrazia industriale che della contro-cultura, che promuove il suo primo personal computer accanto all’’immagine dell’anti-eroe di Tempi Moderni di Chaplin.

Tim Leary – l’altro apostolo della cultura LSD negli Anni Sessanta,
quello della East Coast, il polo opposto a Ken Kesey – arriva a dichiarare che “il PC è l’LSD degli anni 90”. Perché anche l’uso del LSD non è sparito nella valle: è stato anch’esso reintegrato nel nuovo paradigma startup. Dall’inizio degli anni 2010, non è più consumato sotto forma di francobolli durante grandi feste orgiastiche, ma nel quotidiano, in forma di microdosi, versione omeopatica del francobollo. Con tali dosi, niente più allucinazioni e trascendenza: persiste solo la moltiplicazione delle sinapsi che, secondo la credenza locale, si ritiene favoriscano la creatività.

La cyber-cultura doveva essere il compimento della contro-cultura. Al
consumismo offerto dall’età d’oro del capitalismo (quella che dal nostro lato dell’Atlantico si chiamava l’età de “I Trenta Gloriosi”), doveva rispondere realizzando l’ideale di una società i cui membri sono infine nel controllo di sé stessi e del loro ambiente. Una società i cui membri hanno aperto le porte della percezione, sono finalmente risvegliati, connessi al loro essere interiore, connessi al loro prossimo, connessi al mondo e all’universo. Quello che Fred Turner sintetizza nell’opera già
citata: la rete doveva permettere di rimpiazzare i governi e le corporations con scambi continui, collaborativi, decentralizzati, di
energia e d’informazione.

Lo scisma

Ma la rete, oggi, è minacciata. Dall’interno e dall’esterno. Al di sopra del suo protocollo, per essenza decentralizzato, sono stati creati mostri ultra-centralizzati, dietro il velo di termini di marketing come il “cloud”. I soprassalti tecnologici decentralizzati, reti peer-to-peer, protocolli di archiviazione distribuita o blockchains, non godono di buona stampa. Facebook ha approfittato dei suoi oceani di dati per creare bolle, all’interno delle quali i suoi utenti si compiacciono. Bolle disseminate di fake news, popolate di persone con opinioni simili, delle quali si  applaudono virtualmente i post. L’intelligenza artificiale, che si nutre di questi applausi, può allora creare un soddisfacimento dell’utente, mettendogli sotto gli occhi unicamente quegli articoli che ne lusingano l’opinione, finché il dibattito scompare, finché scompare la diversità, finché Donald Trump sia eletto Presidente degli Stati Uniti d’America. Tuttavia, Donald Trump rappresenta l’antitesi dei valori della valle. Si ha un bel dire che la valle concentra gli individui più iconici del sogno americano, del successo del capitalismo, quegli orgogli della nazione che Trump ama additare ad esempio (quasi) come fa di sé stesso. Ma non c’è niente da fare, la valle ha le sue credenze, e Donald Trump non vi troverà un solo sostenitore.

Nemmeno uno? Uno sì. Uno, precisamente, ma non uno qualsiasi: Peter Thiel. Peter Thiel, il cofondatore di Paypal, al fianco di Elon Musk. E
padrino della mafia Paypal, dal nome dato ai vecchi dipendenti della startup. Una mafia la cui diaspora genererà Youtube, Linkedin, Palantir, Yelp, Zynga, Yammer, per non citare che i nomi più conosciuti, come pure fondi d’investimento tra i più potenti della regione. Se Elon Musk è il messia della valle, Peter Thiel ne è l’anticristo. I due si sono separati quando Musk fu estromesso da Paypal per incompatibilità culturale. Anche Thiel ha usato il suo denaro per modellare il mondo che sognava. E il suo mondo è un incubo da cibernetico: primo investitore in Facebook, appunto, e tuttora membro del consiglio d’amministrazione. Cofondatore di Palantir, l’impresa che organizza i flussi di dati per la CIA, la NSA, gli eserciti e le polizie americani. Fervente zelota del
transumanesimo, pensa che il denaro gli guadagnerà la tecnologia per
vivere mille anni. Liberariano convinto, non crede nello Stato, ha finanziato promettenti studenti di Stanford, i Thiel kids, perché lascino l’università (realizzando in un modo alambiccato l’ingiunzione di Tim Leary, la versione East Coast tantrica di Ken Kesey: “Turn on, tune in, drop out”).
Navigato investitore, fondatore di un hedge fund e di un fondo di venture capital, ha recentemente investito in Clearview AI, un sistema di riconoscimento facciale che usa i dati dei social per identificare i sospetti che appaiono nelle immagini di videosorveglianza. Clearview AI ha provocato indignazione oltre Atlantico… fino a quando non si è realizzato che questo sistema potrebbe contribuire allo sforzo di “distanziamento sociale” per battere l’epidemia e ciò gli ha fornito una nuova credibilità.

Ma restiamo a Peter Thiel. Dunque Thiel, indefettibile sostenitore di Trump. Il milione di dollari investito da Thiel nella campagna presidenziale è servito in parte a pagare la fattura di Cambridge
Analitica, l’agenzia che si è appoggiata su Facebook per identificare e influenzare gli swing voters (i famosi elettori indecisi distribuiti in alcuni Stati chiave) nell’elezione del 2016. La Storia non dirà mai il ruolo reale che avrà giocato quel milione di dollari nel risultato dell’elezione.

Dal canto suo, l’amministrazione Trump ha attaccato la neutralità della rete, quel principio fondamentale che vieta ai fornitori di accesso a Internet di discriminare l’informazione trasmessa sulla rete, per la fonte, la destinazione o il contenuto che sia. Ciò che, per inciso, è un indicatore interessante del fatto che il GAFA (Google – Apple – Facebook – Amazon, NdT) non sanno ancora giocare al gioco delle lobbies a Washington. Al contrario dei big delle telecomunicazioni, che non sono affatto venuti su dalla cultura della valle. Anzi sono l’incarnazione stessa delle Corporation avide e cieche che la contro-cultura combatteva. Senza neutralità della rete, sono loro che detengono tutto il potere sull’accessibilità delle informazioni su Internet.

Una minaccia più grave pesa sulla rete. Meno strutturale, più radicale:
il grande scisma. Nessuno dei regimi che si potrebbe con un eufemismo
definire “forti” si farà vittima del ruolo giocato da Twitter o Wikileaks in quella che è stata definita la Primavera Araba. Si sono visti germogliare, nel corso degli anni, sistemi sempre più radicali per premunirsene. Il Grande Firewall Cinese, è anzitutto un posto di frontiera tra comunicazioni in entrata e in uscita dal paese. Il firewall può escludere facilmente servizi stranieri “eretici”. Da maggio 2019 Wikileaks non è più disponibile in Cina, in nessuna lingua.

La soluzione del firewall è una soluzione moderata, che ispira altre
grandi nazioni in giro per il pianeta, a cominciare dalla Russia di Putin o la Turchia di Erdogan, dove pure Wikipedia è finita sotto i colpi della censura. Esistono soluzioni più radicali. Da novembre 2019, l’Iran è isolato spesso da quello che chiama con una forma un po’ antiquata “l’Internet”, ossia internet come lo usiamo tutti. Un internet locale, isolato, contenente tutti i nodi della rete iraniana, è sempre accessibile. Questi black out intervengono alla vigilia di avvenimenti geopolitici sensibili, e sono potuti durare fino a una decina di giorni. Possono essere visti come esperimenti in vista di una soluzione più duratura. Più che un firewall, tale soluzione sarebbe uno scisma.

Uno scisma può essere realizzato quando un organo di controllo ha tutto
il potere sui punti di entrata e di uscita della rete Internet. E non bisogna dimenticare che la rete Internet non è altro che una rete fisica di cavi che collegano computer che accettano di scambiare informazioni tra loro usando lo stesso protocollo. Certo, si può utilizzare Internet senza filo, tramite antenne che parlano al vostro dispositivo in WiFi o in 5G. Tali antenne non mai comunque molto distanti, e comunque sono sempre uno o due grossi (venticinque millimetri di diametro) cavi ottici quelli che connettono un paese al resto d’Internet. Niente di più facile che controllare le entrate e le uscite di un tale cavo ottico. Un altro paio di maniche è se i vostri cittadini comunicano direttamente con una flotta di satelliti che voi non controllate.

In questo potenziale mondo futuro, Starlink dovrebbe giocare il ruolo
del radio-ricevitore nella Seconda Guerra Mondiale: quello che porta
la voce delle forze ancora libere fino ai più cupi territori occupati. Quello che porta le notizie del mondo libero contro la censura e la propaganda totalitaria. Quello che permette ai popoli sotto il giogo di un regime ingiusto di preservare intatte la loro cultura e la loro capacità di sollevarsi.

Le Guerre Stellari

Questa favola è credibile fino a un certo punto. Dato che è portata avanti dalla figura messianica di Elon, e conoscendo la posizione centrale della
rete nella cosmogonia californiana, non è neanche vietato pensare che sia guidata da una certa ingenuità.

Sta di fatto che Starlink non è sola. Ai dodicimila (o forse quarantaduemila) satelliti in orbita bassa che SpaceX finirà per lanciare, si aggiungeranno i 3200 satellliti del progetto Kuiper, lanciato da Amazon. Risulta difficile appellarsi alla stessa mitologia hippie nel parlare di Jeff Bezos invece che di Elon Musk. Amazon non viene dalla
Silicon Valley. Il progetto di Amazon non è mai stato il frutto di una visione altra da quella della ricerca di profitto. Per chi avesse dubbi, ecco come Bezos, nel 1994, raccontava l’origine di Amazon: “Ho scoperto che l’uso del web aumentava del 2300% all’anno. Non avevo
mai visto né sentito parlare di qualcosa con un tasso di crescita così veloce.” Bisoganava buttarcisi. Difficile una maggiore chiarezza.

Continuiamo con le cifre. Dopo i 3200 satelliti di Amazon vengono i 5200 del progetto OneWeb, finanziato da Qualcomm e il Vision Fund. A titolo di precisazione, il Vision Fund è un gigantesco fondo d’investimento nella tecnologia, di cui la metà dei finanziamenti proviene dai petroldollari sauditi. Creato nel 2016, due anni prima dello scoppio del caso Khashoggi. In questi due anni il fondo ha investito
generosamente nelle startup della Silicon Valley. Quando la comunità
internazionale si è rivoltata contro l’assassinio dell’oppositore del principe erede saudita, la valle ha abbassato lo sguardo: si può veramente pretendere di cambiare il mondo e farsi finanziare come se
il denaro non avesse odore allo stesso tempo? Ma il Vision Fund non
ha nutrito solo la valle. Ha riversato miliardi di dollari tanto su
Uber, che sulle rivali Didi Chuxing e Grab, rispettivamente in Cina e
a Singapore. Il savoir-faire in termini dell’intelligenza artificiale
è stato esportato. Kai-Fu Lee, uno dei più influenti esperti di
tecnologia ed inventore cinese, racconta questa trasformazione nel
suo ultimo libro. Il suo agente letterario è nientemeno che il potente John Brockman, altra figura della grande migrazione della controcultura verso la cybercultura.

Visto che siamo in Cina: il conto non è finito. Le autorità regolatrici hanno rivelato che anche il CASIC (China Aerospace Science and Industry Corporation) è segretamente scesa in campo. Oltre alla britannica Lynk, la canadese Telesat, Roscosmos, l’agenzia incaricata del programma spaziale della Russia, e della Corea del Sud. E Facebook. Appare illusorio che una lista così lunga possa essere esaustiva. E illusorio pensare che tanti coloni dello spazio si mettano in gioco senza un’esca di guadagno conseguente.

L’investimento per SpaceX è mostruosamente rischioso: la prima costellazione di dodicimila satelliti di Starlink costerà dieci miliardi di dollari, se tutti i lanci non incontreranno imprevisti. Dieci miliardi da
mettere in vista dei tre miliardi di entrate annuali che comportano i lanci commerciali con SpaceX. Queste proiezioni non includono i costi di funzionamento, il rinnovo dei satelliti in orbita bassa le cui vite operative sono di cinque anni, o la manutenzione dei terminali sul suolo terrestre.

In cambio, Starlink potrà guadagnare trenta miliardi di dollari annuali da qui al 2025, il tempo che le occorre per conquistare quaranta milioni di utenti. Le Nazioni Unite a dicembre hanno stimato che la metà della popolazione mondiale è ancora disconnessa, il che significa che i trenta miliardi potrebbero essere solo una piccola fetta della torta. Sembra che Elon abbia finalmente trovato il progetto che finanzierà la sua conquista di Marte…e che le guerre stellari tra SpaceX e i suoi competitori siano solo all’inizio.

Hackers

Cosa ne pensano i discendenti degli hippies di queste guerre stellari? Da
una dozzina di anni c’è un modo sicuro di sentire il polso della valle (e della scena startup in generale): Hackernews. Hackernews è una sorta di forum di elite sul quale un algoritmo decide degli articoli che saranno portati avanti dalla comunità degli hackers. “Hacker” è una parola dalle diverse accezioni, e qui bisogna intenderla, come in tutto il resto del testo, nel senso che indica chi è impiegato nella Silicon Valley (se questa definizione sembra troppo tautologica, ci si può riferire all’articolo originale dell’influente fondatore di Hackernews). L’algoritmo di Hackernews valuta la reputazione degli iscritti , chiamata “karma”. Da quando il milieu dell’astronomia è entrato in collisione con i piani di Musk, il dibattito pare essersi cristallizzato su tre punti.

Punto primo: perché ancora insistono a nuocere alla libertà d’impresa?
Gli anarchici della controcultura, raggiungendo il girone del liberismo americano, sono diventati libertariani. Lo Stato è illegittimo per il fatto che interferisce con i diritti di proprietà e d’impresa (ci si ricollega così alla Dichiarazione francese dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, prima opera a definire “sacro” il diritto di proprietà). Tutte le piste sono buone per sfuggire allo Stato: Peter Thiel, il padrino della Paypal mafia,
finanzia il Seastanding Institute, il cui obiettivo è di sottrarsi alla tassazione e alle leggi creando delle isole galleggianti al largo della California, nelle acque internazionali.

La crescita in potenza di questa corrente di pensiero negli Stati Uniti,
almeno da Reagan, può spiegare l’inazione degli organismi incaricati
di regolare l’accesso allo spazio e l’assegnazione delle frequenze radio dei satelliti (International Telecommunication Union e Federal Communications Commission), che distribuiscono licenze a SpaceX e ai
suoi concorrenti? Non del tutto. Questi organismi applicano solo i
regolamenti dettati da un ritmo legislativo ormai troppo lento per stare dietro alla creatività di aziende abbeverate con miliardi di dollari (sauditi o meno) prima di dovere produrre redditività.

Punto secondo: negare l’impatto di Starlink sull’astronomia e l’astrofisica, adducendo come motivo che gli scienziati siano incompetenti, e che ne sia riprova il fatto che abbiano affrontato
solo in ritardo la questione: come hanno potuto non vedere niente in
cinque anni? (Nota: alcune voci si sono levate in seno alla comunità
scientifica sin dall’annuncio di Starlink. Si è tuttavia dovuto attendere che le prime scie luminose di satelliti fossero in orbita perché il problema divenisse sufficientemente visibile per ottenere un interesse dei media).

Questa opposizione può sorprendere, per chi pensa che l’ecosistema
dell’innovazione, altamente tecnico e concettuale è un ecosistema
razionale, e dunque vicino alla scienza. Sarebbe ignorare profondamente i meccanismi dell’innovazione. La dove la scienza cerca di comprendere dei fenomeni, l’innovazione cerca solo di sfruttarli. Ciò che l’industria oggi chiama intelligenza artificiale è tutt’al più un processo digitale per trovare una soluzione digitale a un problema concreto (per esempio, insegnare ad una macchina a condursi da sola). Tale soluzione non provenendo da una iniziativa razionale ma da una soluzione statistica, nella quale i processi di decisione diventano delle ottimizzazioni piuttosto che delle scelte. L’essenza del machine learning è tale che diventa arduo comprendere, in un linguaggio intelligibile all’uomo, il processo di decisione che ha portato un algoritmo a valutare male il rischio e ad abbattere il primo pedone vittima della macchina con pilota automatico. Better ask for forgiveness than permission, scandisce un
adagio delle startup usato e riusato. Nel caso di Starlink, la domanda di perdono prende la forma di una proposta di pitturare i satelliti di nero (si, il nero opaco che ricopriva la Batmobile versione 2005 e un certo numero di vetture sportive modificate da allora). Un primo dark satellite
è stato lanciato nella infornata di marzo, con un risultato non tanto impressionante.

Oggi l’obiettivo di una startup è la ricerca della crescita, e la mitologia locale vuole che questa ricerca sia equivalente a cambiare il mondo. E poco importa che il credo consista nel vendere più pubblicità online, creare più incontri sulle app di dating, generare più contratti bancari smaterializzati, o moltiplicare esponenzialmente il numero di satelliti nel cielo.

Ultimo punto del dibattito, e il più interessante: una razionalizzazione
delle perdite e dei profitti in gioco per ogni individuo. Ossia, come l’individualismo impone, per ogni iscritto al forum. Perdite: il cielo e la scienza, e comunque tutto è da dimostrare. Profitto: la possibilità di lavorare freelance da un’amaca su un’isola deserta, venendo comunque pagati profumatamente ai tassi giornalieri della California.

Per coloro a cui l’equazione si presenta così, sembra che il bilancio sia presto fatto: un tale controllo sul proprio ritmo di vita e sul proprio ambiente non ha prezzo. Gli altri, tutti coloro che non sono sviluppatori di tech, non hanno comunque affatto perso: finalmente Internet permetterà loro di formarsi online, di entrare nel giro, e infine porterà loro la possibilità di avere a proprio volta, un giorno, un simile dilemma davanti a sé. Purché gli hackers conservino la rete. Purché gli hackers mantengano il controllo…

Rete e controllo

Perché qui si tratta nuovamente di controllo: controllare il proprio destino personale, essere liberi di scegliere dove si lavora, dove si vive, senza dovere modificare la propria opera. Quando prendendo un aereo connesso a Internet non interrompete il flusso del vostro lavoro, avete il
controllo. Quando siete su una isola deserta e restate comunque connessi, avete il controllo. Quando un braccialetto connesso rileva continuamente i vostri segnali biometrici e la vostra posizione, avete il controllo. Padroneggiate tutte le incognite del vostro destino. E siete quindi responsabili, imputabili, di ogni imprevisto che possa impattare sulla vostra produttività…

Vorrebbe dire che il freelance connesso, dalla sua amaca su un’isola deserta, finisce per essere pagato a cottimo come il Chaplin di Tempi Moderni alla sua catena di montaggio? Il controllo sarebbe forse nel frattempo pericolosamente passato di mano? Avete voi il controllo del vostro tempo, o è il vostro datore di lavoro, il vostro cliente, il vostro
committente a possedere voi?

Forse che tutti gli attori implicati in queste costellazioni – imprese superpotenti, investitori, governi – non sono allineati quanto ai loro obiettivi: assicurare un controllo sempre più stringente sull’individuo,
tramite la rete? Accettando di reintegrarsi, di reinventarsi, di fondersi con il capitalismo per cambiarlo dall’interno, la contro-cultura ha forse creato essa stessa il mondo orwelliano che pretendeva di distruggere?

Le risposte recate un po’ in tutto il mondo dalla pandemia del coronavirus dovrebbero essere in grado di chiarircelo (ne ho fatto uno studio dettagliato altrove). Mentre i cittadini occidentali rimproverano a gran voce ai loro dirigenti di non avere ancora “appiattito la curva”, tutti gli occhi si volgono verso la Cina e i dragoni dell’Asia. I successi proclamati (e messi in dubbio da un certo numero di whistleblowers) fanno leva su un dispiegamento di tecnologia che copre tutto lo spettro dei mezzi di sorveglianza e controllo, dal riconoscimento facciale alla geolocalizzazione. Nella Silicon Valley e in Francia, emergono app di mappatura dei contatti (piuttosto che di depistaggio dei pazienti positivi) che si appoggiano sul consenso e su protocolli anonimi e decentralizzati. Il loro design rispetta le normative di protezione della privacy, il
GDPR (regolamento generale per la protezione dei dati, nella UE, NdT)
come il CCPA (California Consumer Privacy Act). I sondaggi si rivelano piuttosto favorevoli. Primo problema: un design, anche se
open source, non garantisce mai una implementazione. Né che qualche
governo, un giorno, non piazzi delle backdoor nel software. Nell’attesa, i cittadini si saranno abituati ad accettare un poco più di sorveglianza, in nome della loro sicurezza (sanitaria, per una volta). Secondo problema: queste applicazioni di tracciamento saranno in ogni caso inefficaci, a meno che non le si adotti in massa. Forse è qui che Starlink entra in gioco: assicurando la nostra connessione con tutti, dappertutto, tutto il
tempo.

Sempre nell’attesa, quella costellazione artificiale va poco a poco costruendosi nel nostro cielo. Se nei prossimi anni le nostre notti stellate
cambieranno volto, potremo sempre consolarci pensando tutto ciò non
è invano: presto avremo alla nostra portata il cielo di Marte.

Medium : https://medium.com/@jonbou

apparso nel numero 239 di lundi.am il 20 aprile 2020

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