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Il RN, il NFP e il chiarimento di una frattura storica

contributo dalla Francia

pubblichiamo questo contributo inviatoci dalla Francia: un ottimo abbozzo di lettura del presente foriero di ulteriori analisi e messe in opera.

È ormai opinione comune che gli argini della vita politica francese stiano cedendo. Negli ultimi giorni, la società francese è stata alle soglie di una crisi profonda. Che si etichetti l’ascesa del Lepénisme come fascista, populista, reazionaria o autoritaria, nessuno può più negare che la forza di contenimento costituita dall’estremo centro macronista abbia ceduto sotto il peso della sua inanità. Nonostante i numerosi allarmi, la crisi politica in corso ha sorpreso molti di coloro che la ritenevano comunque inevitabile dopo la rielezione di Emmanuel Macron nel 2022.

Il previsto crollo del blocco centrista neoliberale, l’improvvisa consapevolezza della minaccia dell’estrema destra e i ripetuti tentativi di ricomporre la sinistra segnano una notevole accelerazione nella storia politica francese. Questa accelerazione sembra chiudere un ciclo politico iniziato negli anni ’80, quando la sconfitta del movimento operaio organizzato ha lasciato il posto alla nudità di un “popolo” frammentato che da allora non è mai riuscito a ritrovare se stesso. Questo ciclo di ristrutturazioni è stato caratterizzato dall’alternarsi di governi di destra e di sinistra uniti sotto la bandiera di un neoliberismo la cui unica missione storica è stata quella di ripristinare il dominio totale del capitale sul lavoro, anche a costo di sostenere la deindustrializzazione e l’anomia che non poteva più mascherare la distruzione del compromesso sociale nato dal Conseil National de la Résistance, che incarnava uno stato sociale ormai tecnocratico.

La recente vittoria della lista Bardella alle elezioni europee e il successivo scioglimento dell’Assemblea Nazionale sono due eventi che hanno almeno il merito di fornire una parvenza di chiarezza. In primo luogo, la frattura socio-politica del Paese si è improvvisamente approfondita. Si potrebbe anche parlare, senza esagerare, di una frattura che non può che aggravarsi tra due ipotesi contrapposte che si chiariranno ancora di più nei prossimi anni.

C’è quindi, da un lato, l’estrema destra lepenista. Senza negare in alcun modo i numerosi pericoli che la sua possibile ascesa al potere rappresenta, essa va storicamente distinta dal fascismo e dal nazismo. Le esperienze del fascismo italiano e del nazismo tedesco sono state soprattutto una risposta alla più grande insorgenza rivoluzionaria e comunista della storia, quella che ha visto i popoli europei senza riserve tentare di tagliare la testa a coloro che li avevano mandati sul campo di battaglia nella prima guerra industriale della storia. In questo senso, il DNA politico del fascismo e del nazismo si è sintetizzato soprattutto negli enzimi della più cruda controrivoluzione e del rifiuto della sconfitta nazionale. Si inserivano inoltre nel contesto immediato del crac globale del 1929 e, allo stesso tempo, miravano a una ristrutturazione economica basata sulla mobilitazione totale dei lavoratori in un progetto di rigenerazione etnica politico-militare. Oggi, invece, la bella squadra di braccio di ferro della RN arriva in un contesto di crescente frammentazione socio-economica, di una sorta di movimento entropico diffuso che preannuncia l’inizio di una crisi e di una ristrutturazione che potrebbe avvenire l’anno prossimo come nel prossimo decennio, ma che nessun profeta ha ancora osato prevedere con precisione. In ultima analisi, il lepenismo fa parte della stessa volontà di frenare il corso degli eventi del macronismo, cioè si presentano come due opzioni, ognuna delle quali mira a frenare la moltiplicazione delle difficoltà causate dall’esaurimento del modello di accumulazione francese e dalla sua inevitabile periferizzazione in un contesto globale sempre più rigido.

Dall’altra parte, c’è il campo del vago socialismo del Nuovo Fronte Popolare. Strutturalmente, e senza tener conto degli inevitabili tradimenti futuri, il NFP non potrà attuare le sue riforme senza essere sostenuto da un movimento quasi insurrezionale nelle strade e nelle aziende. In primo luogo, se spera di essere all’altezza dell’occasione storica, dovrà dare una dimostrazione di forza ai datori di lavoro, che difficilmente accetteranno qualche briciola. In secondo luogo, dovrà opporsi frontalmente e transnazionalmente alle istituzioni europee (Commissione europea e Banca centrale europea) per le quali la stabilità monetaria e il contenimento dei salari sono le due condizioni sine qua non del loro progetto politico-amministrativo. In terzo e ultimo luogo, questa alleanza elettorale di circostanza dovrà riuscire a non sottoporre più la visione politica dei suoi leader più riformisti alle cortine fumogene delle reti finanziarie transnazionali, che non esiteranno a ritirarsi e a trasferirsi su lidi migliori per i loro criteri di attrattività. L’avventura sembra quindi molto difficile, ma si rivelerà inevitabilmente tragicomica se l’alleanza di tutti gli opposti non riuscirà a produrre una posizione di rottura che rimetta il conflitto al centro dell’azione politica.

Questo abbozzo è ovviamente insufficiente. Ciò che ancora manca nelle discussioni che potrebbero rimettere in ordine il campo del comunismo assoluto, quello dell’abolizione della proprietà privata come condizione necessaria per la felicità di tutti, è un’analisi a medio e lungo termine del chiarimento storico che sta già avvenendo. Possiamo deridere il Nuovo Fronte Popolare quanto vogliamo, e razionalizzare il voto del RN come sintomo della sconfitta storica del movimento operaio, ma resta il fatto che la società francese si sta nuovamente dividendo in due grandi campi, e le linee sono destinate a cambiare molto rapidamente nei prossimi anni. Con la fine del welfare, l’aumento dei tassi di interesse, la continentalizzazione dei conflitti militari e l’impasse creata dalla crisi ecologica, anche il voto dei colletti blu e dei colletti bianchi attratti da Le Pen è destinato a essere deluso. Senza essere troppo ottimisti, sembra almeno plausibile che la soluzione autoritaria da sola non basti a salvare il RN da un movimento di massa che mobiliterà non solo la classe media che si prepara a votare per il Nuovo Fronte Popolare e la difesa di un vago progetto di repubblica sociale.

L’attuale sequenza politica, avviata dalla sconfitta del partito presidenziale e dallo scioglimento dell’Assemblea Nazionale, presenta quindi tre probabili scenari, sui quali è prematuro pronunciarsi in modo definitivo: una maggioranza assoluta per il Rassemblement National, una maggioranza assoluta per il Nouveau Front Populaire, oppure il mantenimento di uno status quo senza una chiara maggioranza, situazione che potrebbe portare alla paralisi politica fino alle prossime elezioni presidenziali. Questi tre scenari meritano di essere discussi pubblicamente prima che le urne si aprano all’inizio di giugno.

Per la stragrande maggioranza dei francesi, il regno materiale della necessità è stato abolito. È stato sostituito dalla generalizzazione di quella “insicurezza dell’esistenza” che Engels aveva previsto pochi anni dopo la morte di Marx. A fronte di questo stato di cose, oggi ci sono molte persone inclini alla formulazione radicale delle proprie idee, che mal sopportano ogni autorità e non sopportano più la follia dei loro simili. Alcune di queste idee sono ancora senza voce, altre confuse o addirittura perverse. È comunque necessario offrire loro una forma di organizzazione non fascista e non nichilista. La necessità di essere qualcuno, il bisogno di stabilità e di un punto di riferimento rispetto al mondo esterno sono elementi positivi che vanno analizzati e considerati con calma, cioè senza moralismi. Il nostro ruolo è quello di riportare la politica alle radici materiali dei bisogni umani, di unire l’attività produttiva al semplice piacere di vivere. Tutto è comune. Dobbiamo iniziare ora.

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