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Estirpiamo le radici della guerra dall’università, piantiamo il seme della resistenza.

riceviamo e diffondiamo

Riceviamo e diffondiamo
(atto vandalico alla Sapienza, giugno 2024)

A Rafah si brucia, in Palestina si continua a morire, ma alla Sapienza l’urgenza sembra essere quella di condannare le scritte sui muri, delegittimare la protesta declassificandola ad “atti vandalici”.

È comprensibile che chi stipula accordi con le industri belliche,
chi ha affondato le radici della propria università nel terreno della guerra,
non voglia riconoscerlo e così non riconoscerà mai la legittimità a chi denuncia queste responsabilità.

È comprensibile, e infatti non è altro che il riflesso dell’ipocrisia occidentale:
si fanno concerti per la pace mentre si finanzia Leonardo s.p.a, si condanna la violenza della critica mentre si arma la guerra del colonialismo.

È l’ipocrisia occidentale, che parla di dissenso purché rientri nei paletti del potere, purché non diventi opposizione, purché non trovi coerenza fra il pensiero critico e le azioni, cioè la realtà.

Ecco spiegato il fenomeno “All eyes on Rafah”.

È facile pensare che quello che accade in Palestina non dovrebbe succedere, più difficile è individuarne i responsabili in casa propria, più difficile è fare qualcosa per far sì che questo non accada.

Non ci interessa dunque sapere chi chi sono lx autorx di questi atti, chi ha dato coerenza al proprio pensiero. Stiamo dalla stessa parte, siamo complici e solidali: abbiamo gli occhi su Rafah, il cuore in Palestina e il corpo qui in Italia.

Pensiamo che in questo momento storico non si possa essere meri testimoni passivi bensì sia necessario esporsi, dare qualcosa così che nessunx debba dare tutto.

Ognunx come crede, ognunx come lx è possibile, ma purchè sia esplicito e con un orizzonte unico: l’interruzione del genocidio e la liberazione della Palestina.

Siamo con chi a Bologna ha bloccato i treni, con chi a Torino ha acceso un fuoco bloccando una strada, con tutte le città che contrappongo il conflitto alla pace sociale sporca di sangue.

È interessante notare come la “barbarie” per la Rettrice non è la pace entro cui si fa la guerra, cioè non è quel processo banale, ma quanto mai malefico, che fa della normalità universitaria una macchina che fomenta la guerra, ma i barbari sono gli incappucciati, è chi denuncia con scritte questa macchina, chi deturpa il “bene pubblico”.

Quello che viene definito come “bene pubblico” (per lo più i muri bianchi) non è altro che il silenzio della guerra, la bella facciata con cui l’università si presenta all’esterno ma che all’interno è sporca di sangue.

I barbari sono coloro che nel 476 d.C. hanno interrotto la pace sociale del dominio romano, facendone crollare l’Impero.

Allora sì, se questo è il vostro impero noi staremo sempre con lx barbarx o lx vandalx..

Da quando sono state tolte le tende tutto è tornato alla normalità, i muri puliti e l’università di nuovo bella pronta ad ospitare nuovx studentx.

Se vogliono un’università bella e pulita, allora che sia pulita anche nello spirito, negli accordi, e non solo di facciata.

Che prezzo ha l’ordine e il decoro dentro la nostra università?

Quante armi costa alla nostra rettrice?

Quantx palestinesi dovranno ancora morire affinché tutto venga mantenuto intatto, al suo posto, pulito?

I muri bianchi, i prati inglesi, i cantieri in università o il proseguirsi delle lezioni non sono altro che la normalità di una pace sociale che in queste settimane è stata interrotta.

Una pace che non è altro che il silenzio della guerra da un’altra parte del mondo.

Finché questa pace coltiverà la guerra, non avremo altra scelta che il conflitto, con tutti gli strumenti possibili, per inceppare questa macchina di morte.

Finché nel nome della pace verranno finanziati genocidi, firmati accordi con aziende di armi, rafforzata la repressione interna e difesa a tutti costi questa malsana normalità, noi saremo sempre dall’altra parte.

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